da Spoleto
Divismo cinematografico o impegno sociale? Se lo chiedete ad un divo come Tim Robbins -amato nel mondo per la struggente regia di Dead man walking, o per l'esaltante interpretazione di Le ali della libertà, ma umanamente formatosi in teatro- l'uno non esclude l'altro. E al teatro il premio oscar hollywoodiano torna sempre: per realizzare programmi educativi nelle scuole e nelle carceri della California. O per le sue regie, come quella di oggi al Festival di Spoleto, nello shakespiriano Sogno di una notte di mezza estate.
Cosa l'affascina di questo classico? È un testo molto rappresentato; secondo alcuni anche troppo. Al punto da far rischiare la banalità...
«È il testo di Shakespeare che preferisco in assoluto, proprio perchè c'è in esso molto più di quanto appaia a prima vista. E trovo che metterlo in scena oggi abbia più senso che mai. Quando con la compagnia abbiamo iniziato a lavorarci, due anni e mezzo fa, ci siamo stupiti di trovarci tanti aspetti così attuali».
Per esempio?
«Il personaggio di Titania parla dell'ambiente, delle stagioni che si sono scombinate: l'estate che appare nel mezzo dell'inverno; l'inverno squarciato da calori innaturali... Una metafora, naturalmente. Che ci racconta di un mondo in disordine. E di come l'amore possa essere la chiave per rimettere tutto a posto».
Eppure questo è un classico della tradizione, mentre lei è cresciuto negli ambienti dell'avanguardia.
«Sono cresciuto in anni in cui tutto sembrava possibile. E forse proprio per questo mi sono sempre dedicato ad opere teatrali che -come i classici- rappresentano sempre una sfida».
Per alcuni il cinema serve a diventare famosi; il teatro a diventare bravi. È d'accordo?
«Ancora oggi in teatro si racconta l'epica dei miti greci. Cioè i problemi morali degli uomini, fra di loro e con la divinità. Il cinema, invece, racconta storie più ravvicinate, più intime. E se si occupa di epica, lo fa solo dal punto di vista dello spettacolo, o della violenza. Io mi sento particolarmente fortunato di aver fatto parte di film le cui storie hanno toccato profondamente le persone, e contribuito a cambiare la loro vita».
Ma davvero un film -o uno spettacolo teatrale- possono cambiare la vita di qualcuno?
«Sì. Un film può cambiare la tua percezione del mondo; in positivo come in negativo. Ma nel mio caso è soprattutto in teatro, che ho imparato di più sulla vita. Io credo che il teatro possa mutare il modo di vedere la realtà, perché lo spettacolo di una sera non sarà mai uguale a quello della sera prima o della sera dopo. E più si diffondono gli schermi -del cinema, della tv o dei tablet- più l'esperienza teatrale aumenta di valore».
Per un attore come lei dà più soddisfazione recitare Amleto o vincere un Oscar?
«Parlo solo per me. Attualmente, con la mia compagnia The Actor's Gang, lavoriamo in sei scuole di Los Angeles, che non hanno mezzi e i cui studenti finiscono spesso a far parte di bande giovanili. Li coinvolgiamo, aiutiamo i loro insegnanti a sviluppare la loro fantasia, applicando il teatro a storia, matematica, inglese. I ragazzi dicono che questo li aiuta moltissimo a migliorare la loro capacità di esprimersi, di far parte attiva della propria comunità. Per loro noi facciamo davvero la differenza. Ecco: questa è in assoluto la più grande soddisfazione che mi dà fare l'attore».
Dunque nel suo lavoro (in autunno lei dirigerà Strindberg, quindi farà uno spettacolo su Alice nel paese delle meraviglie) l'impegno sociale e politico continua ad essere centrale?
«È frequente che chi s'impegna in politica, o nelle battaglie sociali, lo faccia a discapito della propria vita privata. Da noi si usa l'espressione think global, act glocal: «pensa globalmente, agisci attorno a te». Insomma: se si pensa e si opera nella propria comunità, gli effetti si percepiscono a livello globale.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.