Rispoli, gentiluomo che schivava gli avvoltoi

Sia chiaro che il garbo e la buona educazione, a dispetto dell'opinione dei gonfalonieri della tv sguaiata, non sono attributi da perdente. Se è vero difatti che chi urla può aggiudicarsi una tappa, alla fine della gara la vittoria, ossia la conquista della stima granitica da parte del pubblico, va ai portabandiera della tv beneducata, come lo fu Luciano Rispoli (1932-2016). Ricordare un distinto gentiluomo dell'etere a novant'anni dalla nascita è un piacere, unito al dovere di evidenziare che il rassicurante «zio Luciano» era un rivoluzionario, strenuo creatore di programmi e «stanatore» di Raffaella Carrà e tant'altri che, complice il suo fiuto, avrebbero spiccato il volo. Mariano Sabatini, che lo conobbe lavorandoci per anni gomito a gomito, è la persona giusta per fornire un di lui ritratto. Il suo libro Ma che belle parole! Luciano Rispoli. Il fascino discreto della radio e della TV (Vallecchi Editore) è attraversato da una polemica verso i dirigenti televisivi, che lo misero da parte troppo presto, e la pubblicistica frettolosa, rea di trascurare l'apporto artistico che ha fornito sia da presentatore, con titoli come Parola mia e Tappeto volante, sia da funzionario, suggerendo lo spunto per le pietre miliari Bandiera gialla, Chiamate Roma 3131, La Corrida.

Bisogna rammentare che Rispoli introdusse il talk show prima di Costanzo, con L'ospite delle due, e prima di Piero Angela si avventurò nei misteri dell'universo, con Intervista con la scienza, non dimenticando Pranzo in TV, antenato nobile delle sovente ignobili trasmissioni di cucina, e Parliamo tanto di loro, dove la parola dei bambini veniva ascoltata, non imbeccata ad uso di share. Aveva vigore caratteriale Rispoli, derivantegli forse dalle dure esperienze in tempo di guerra, allorché vide il padre colonnello deportato in campo di concentramento, un fratello ammazzato dai fascisti e una sorellina morire di meningite fulminea.

Definiva i molti avvoltoi gravitanti nel mondo dello spettacolo come individui «appollaiati sul ramo più alto dell'albero che aspettano il tonfo per saltarti addosso come falchi e spartirsi quel che resta della tua rispettabilità professionale». Parola sua.

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