Dal mattino si vede il buongiorno e, certo, ieri la prima del «Film Festival» di Roma faceva pensare al film di Kasdan Il grande freddo. Niente code ai botteghini per acquistare i biglietti (il presidente della manifestazione, Paolo Ferrari, ha ammesso un calo del 15% rispetto all'anno scorso); zero capannelli di studenti, giovani o pensionati, che negli scorsi anni facevano colore e allegria intorno a una kermesse un po' paesana, ma viva nel tessuto cittadino e sparuti cinegiornalisti a caccia di qualcosa per imbastire un pezzo interessante. Persino il porchettaro è cambiato: al posto del solito carrettino unto, staziona un asettico camion rosso e bianco. Del resto, il neodirettore Marco Müller sembra conseguente con il proprio principio organizzativo: fare un festival sempre meno festival, puntando alla piattaforma audiovisiva internazionale, che convogli a Roma i compratori esteri. A giudicare dalla conferenza stampa del film in concorso più atteso, nel giorno di partenza, ossia Il canone del male del giapponese Takashi Miike, la missione parrebbe già compiuta: pochi i giornalisti italiani in Sala Petrassi e molti quelli del Sol Levante, perché Lesson of Evil, come s'intitola per gli anglofoni il thriller sanguinolento di Miike, a breve esce nelle sale giap e il Festival di Roma gli fa pubblicità. Sarà che il cinema è in affanno su scala mondiale, sarà che la crisi morde e l'aumento del biglietto all'Auditorium non aiuta, ma la puntata numero uno del Festival ha tenuto il profilo basso. Vedremo se nel weekend uno straccio di glamour si ritrova.
Energetico e decisamente «splatter», Il canone del male ha comunque diviso la critica. Perché, certo la storia dello psicopatico professor Seji Hasumi, che imbraccia il fucile e trucida gli studenti dell'Accademia Shinko, dove insegna, fa pensare alla strage di Utoja. Ma considerando che il regista - tra i dieci più influenti del pianeta, per la rivista Time - ha trasposto sullo schermo la nota graphic novel di Kishi Yusuka tanto cara ai seguaci del genere, meglio esulare dai fatti di cronaca. Per immergersi, invece, in un racconto«nero e disturbante, in linea con l'estetica horror dell'eclettico Miike, celebre dopo 13 Assassini. Se nella prima parte del film si delinea la personalità del professore-killer, amato e rispettato da tutti, nonostante la sua inquietante anaffettività, nella seconda si passa all'azione truculenta: la diciassettenne Reika non crede fino in fondo alla bontà del docente, il cui oscuro passato affiora grazie alle ricerche d'un suo collega che lo detesta e la tensione aumenta. Il prof a 14 anni ha ucciso i genitori e adesso eccolo schizzato, pronto a sparare a bruciapelo sui suoi studenti, anche sgozzati e trucidati in un crescendo di follia. Un pizzico di Cronenberg, un tocco di Brecht (l'insegnante folle canticchia il leitmovit di Mackie Messer mentre spara), un riferimento alla mitologia norrenica, e il problema della scuola è risolto: basta aprire il fuoco. «In Giappone la legge vieta l'uso del fucile, eccezion fatta per quello da caccia. Ho usato gli effetti speciali della computer grafica per far vedere che il fucile, munito di occhio, è una proiezione della mente malata del professore», spiega Miike, l'anno scorso in gara a Cannes con Death of a Samurai.
A incarnare il trucidatore di studenti, c'è un volto noto della tv nipponica: Hideaki Ito. Il quale ci ha pensato su, prima di accettare un ruolo tanto disturbante. Eppure Lesson of Evil è già una saga. Il suo finale, «to be continued», lo lascia presagire e d'altronde il pianeta adolescente giapponese è attratto dagli splatter scolastici.
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