A Roma il cinema delle grandi rivolte islamiche: "Fate i film. non la guerra"

Documentari, pellicole e corti di 25 Paesi nella rassegna Asiatica al Testaccio, dal 5 al 13 ottobre. Grande attenzione al mondo arabo. In concorso anche “Our Homeland“ di Yang Yonghi, la giapponese in corsa per gli Oscar

C’è Mao Mao, che non è il Grande Timoniere ma il regista di Here, Then, una storia sulla solitudine dei giovani cinesi. E c’è la giapponese Yang Yonghi, con il suo Our Homeland, candidato agli Oscar come miglior film straniero. E poi i documentari algerini, i corti birmani, le immagini sugli scontri di piazza Tahir.
Insomma c’è un filo, anzi una pellicola, che a Roma, alla Pelanda del Testaccio, per una settimana terrà insieme il Maghreb e l’Estermo Oriente: la rassegna «Asiatica», con opere e autori e 25 Paesi. «Fate i film e non la guerra», questo lo slogan lanciato dal curatore della mostra Italo Spinelli. «Quest’anno - racconta - abbiamo allargato il nostro sguardo al mondo arabo per comprendere che cosa si muove in un contesto così tumultuoso: dal Marocco al Pacifico, passando pure per l’Europa, c’è una comunità di un miliardo e trecento milioni di musulmani che vive un periodo di grande cambiamento. E non si tratta di realtà monolitiche, ci sono voci e anime diverse. É arrivato il momento di farle sentire anche per contrastare la crescente islamofobia».
Così dal 5 al 13 alla Pelanda al Testaccio saranno proiettate una sessantina di opere, in gran parte in anteprima. Dal Marocco all’India, con un focus sulle Filippine. Nello speciale dedicato al mondo arabo, da segnalare Zabana, dell’algerino Said Ould Khelifa, ambientato negli ultimi anni dell’occupazione francese. Reporting...

a revolution è invece un viaggio di Bassm Mortada negli eventi di piazza Tahir al Cairo. Il libanese Hady Zakkat presenta Taxi San’a, sulla rivoluzione yemenita. Altri film in concorso arrivano dall’Iran, dall’India, dalle Filippine, dal Kazakistan. Spazio anche ai libri e agli incontri

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