La sfida pulita di Birdy al trash di Miley Cyrus: nuda solo la mia musica

A neanche diciott'anni la cantautrice inglese mette d'accordo pubblico e critica: "Non voglio essere altro che me stessa"

La sfida pulita di Birdy al trash di Miley Cyrus: nuda solo la mia musica

Roma - Un tipo come Birdy ogni tanto capita. Neanche diciotto anni, talentuosa, riservata, ingle­se. L’altra sera ad Amici avete vi­sto com’è: è arrivata senza tanti fronzoli sul palco di fianco a Ma­ria De Filippi, si è seduta al piano­fo­rte e ha duettato con la concor­rente Deborah in una canzone che è un pezzo forte dei Cherry Ghost entrato nel suo (per ora) mini repertorio: People help the people . Intensa, riflessiva. A dodici anni,lei che viene dal­l’Hampshire in Gran Bretagna, ha vinto un talent show (Open Mic) con una propria canzone e poi è addirittura sbarcata a Bbc Radio3 per cantare e suonare un altro pezzo.Tutto low profile ,s’in­tende. La forza di Birdy, che detto tra noi si chiama Jasmine van den Bogaerde ed è timidissima, è che lei non parla. Parlano le sue can­zoni. Anche durante questa inter­vista (lei stanchissima dopo una trasferta come sempre massa­crante) ha limitato le proprie ri­sposte al minimo essenziale per qualsiasi popstar ma non per lei.

Lei lima.Lei toglie.«Non amo par­lare, per questo faccio la musici­sta », dice con un sorrisino timido così. Viste le recensioni entusia­ste, i due milioni di copie vendute e gli applausi che s’è accaparrata in Gran Bretagna e nel resto d’Eu­ropa (con top ten e primi posti e premi come l’Echo Award a Berli­no), Birdy è la faccia pulita del pop d’autore, meno complessa di Anna Calvi, più indie di Lorde e più vicina alla tradizione che da Carly Simon fino a Tori Amos ha disegnato l’identikit della cantau­trice concentrata più sulla musi­ca che sul resto. «Mia mamma suonava il pianoforte e mi ha cre­sciutoascoltandoBeethoven, Ba­ch e Chopin. Mio padre invece è pazzo di George Michael, Beatles e Steely Dan. Ecco io sono il risul­tato di questa strana combinazio­ne ». Volendo, Birdy con il suo disco Fire within è la risposta spoglia al pop spogliato. Lei silenziosa e le­gata soltanto ai propri brani, che sono l’unico biglietto da visita presentato al mondo. Le altre sue più o meno coetanee, dalle ex Di­sney come Miley Cyrus alle pop­star a cavallo tra fine Novanta e inizio Duemila (vedi Britney Spe­ars o Christina Aguilera), invece tendono a spogliarsi nel senso let­terale di togliersi i vestiti, accen­dere i riflettori sul risvolto gla­mour o gossiparo nel nome di un modernismo più millantato che effettivo. Anche se seduta al pia­noforte senza neppure l’ombra di una paillettes o di un tacco 14, Birdy l’altra sera è sembrata più moderna di tante altre che in que­sti mesi affollano ( un po’)le classi­fiche e ( molto di più) il chiacchie­riccio web, sui social sempre più asocial.

«Ma - spiega con un filo di voce - a me i dischi di Miley Cyrus e di quel tipo lì di cantanti piacciono proprio. Li ascolto, me li godo anche se li sento molto di­stanti dalla mia natura e dalle mie caratteristiche». Dopotutto, la sua è una di quelle carriere che vanno avanti a piccoli passi. Il bra­no per la colonna sonora di Hun­ger games ( Just a game ) l’ha con­solidata presso un pubblico, quel­lo adolescente, magari più di­stratto da altre calamite musicali. E con Learn me right , registrato con i Mumford & Sons per Ribelle - The brave della Disney, s’è gua­dagnata il definitivo passaporto di credibilità. «Faccio ciò che mi piace ed è bello essere anche in pubblico ciò che sei in privato». Ad esempio, canta (meglio: can­tava) anche nella band dove suo fratello suona la batteria, i Native Roses, e fa quasi tutto ciò che i suoi coetanei non fanno: ossia è concentrata su di una passione, la musica. «In fondo quelli della mia età sono così noiosi».

E a lei, che si nutre di melodie e di ricordi di Jeff Buckley e, se po­tesse, collaborerebbe con il gol­den boy del folkrock inglese Jake Bugg («Ma non ho il suo numero di cellulare»,scherza),forse man­co importa avere una vita sociale: pensano i suoi brani a curare le pubbliche relazioni con il mon­do, quindi perché dannarsi l’ani­ma, in fondo.

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