«Sono un immigrato, vengo dall'Italia e lavoro in giro per il mondo. Questo Oscar è per tutti gli immigrati». Parola del truccatore vercellese (di Casanova Elvo, paesino di 300 abitanti) Alessandro Bertolazzi, che, insieme allo hair stylist Giorgio Gregorini e all'americano Christopher Nelson, ha ricevuto il premio Oscar per il miglior trucco&parrucco in Suicide Squad, scritto e diretto da David Ayert. «Ci siamo seduti e pensavamo che la cerimonia durasse molto tempo e invece è stato tutto veloce. Non ci siamo quasi resi conto. È stato come uno shock anafilattico positivo». Bertolazzi, alla sua prima candidatura, da anni lavora con i grandi nomi del cinema, dopo aver iniziato con il teatro. La sua carriera, però, è decollata con Malena (2000), film di Giuseppe Tornatore. Da Brad Pitt a Penelope Cruz e a Leonardo DiCaprio, non si contano le star passate sotto il suo tocco magico. Giorgio Gregorini, wig supervisor, ovvero responsabile delle parrucche per Sucicide Squad ha voluto dedicare il premio a sua moglie, recentemente scomparsa.
E se, contrariamente alle aspettative, i discorsi al Dolby Theater non hanno avuto toni politici troppo accesi, in funzione anti-Trump, i rappresentanti del cinema tricolore hanno volentieri strizzato l'occhio al dominante pensiero globalista. Così Gianfranco Rosi, regista del pompatissimo Fuocoammare - Orso d'Oro a Berlino, sponsor Meryl Streep, arcinemica di Donald Trump -, il docufilm su Lampedusa e i suoi migranti, ancorché ignorato dall'Academy al momento delle premiazioni, non ha voluto sentir nominare la parola «delusione». «Sono felicissimo di questo meraviglioso viaggio durato un anno. E' stato incredibile. Il mio film ha finalmente assunto valore universale», è stato il suo commento. Tuttavia all'Istituto Luce, che ha distribuito il film con incassi men che modesti, il Presidente Roberto Cicutto un pochino piange. «Il fantastico risultato raggiunto è merito del film e del suo regista. Ma da soli non si arriva sempre in fondo.
Bisogna sottolineare che quest'anno gli altri quattro finalisti sono tutti molto sostenuti dall'industria americana e soprattutto da colossi come Netflix, che hanno investito milioni per promuovere la propria immagine», dichiara Cicutto, sottolineando la prepotenza delle majors, invece di considerare che Fuocoammare agli Oscar aveva concorrenti artisticamente più incisivi, come I Am Not Your Negro di Raoul Peck, voce narrante Samuel Jackson, o il vincitore O.J.: Made in America di Ezra Edelman. Il Luce non è Netflix, ma investe comunque soldi pubblici per promuovere l'immagine del cinema italiano all'estero, di concerto con il Mibact.
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