Cultura e Spettacoli

Sulle tracce pittoriche di una regione snobbata ma patria dell'arte

Da Massagrande a Verlato ecco gli artisti che regalano nuova creatività al territorio

Sulle tracce pittoriche di una regione snobbata ma patria dell'arte

Ad Asiago anche le carceri custodiscono bellezza. Siamo nel cuore dell'altopiano vicentino, là dove si passeggia tra vecchie trincee e dove i dolorosi ricordi dei sacrari militari si fondono con l'aspro paesaggio: «La preghiera è stare in silenzio in un bosco», scriveva Mario Rigoni Stern, cantore di questi luoghi.

Qui, in quella che fu un'austera prigione ottocentesca, oggi c'è il Museo Le Carceri, spazio espositivo votato alla contemporaneità. Il museo ha riaperto al pubblico questa estate portando gioia, colore e senso grazie alla mostra Veneto Felice, curata da Camillo Langone (fino al 14 novembre).

«È una mostra della cordiale identità veneta valorizzata dall'arte contemporanea. Un progetto del tutto originale, mai osato prima, composto di sole opere inedite, realizzate espressamente per essere esposte nel museo di Asiago», spiega Langone. Nel dettaglio parliamo di quattordici pittori (due le donne) e di un ceramista, perlopiù veneti di nascita o di origine o legati a questo territorio per motivi personali. È un'esposizione, la seconda a dire il vero, nata dal premio Eccellenti Pittori-Brazzale che da ormai sette anni Langone promuove per realizzare una sorta di «diario della pittura italiana vivente», al di fuori dei circolini dei soliti noti.

Derubricare il progetto a mostra regional-identitaria, buona solo a solleticare appetiti politici vari, è scorretto: il catalogo delle opere in mostra racconta altro. E per inciso include due firme quali Matteo Massagrande e Nicola Verlato, internazionalmente riconosciute e quotate. E allora bisogna tornare al titolo, che riprende la raccolta di articoli, itinerari e racconti dello scrittore Giovanni Comisso, ormai datati oltre mezzo secolo fa: dalla bassa alle Alpi, dalla ricca provincia alla campagna più umile, è uno spaccato vitale e radioso di una regione tra le più bistrattate d'Italia (Venezia esclusa, ché da sempre la Serenissima è avvertita come un mondo a parte, dai non-veneti ovviamente).

Lo spiega Langone stesso nell'introduzione al catalogo della mostra: «A un certo punto parve che Veneto fosse sinonimo di capannoni, () come simbolo del male e dell'evasione fiscale».

La ricerca di Langone, che per l'occasione ha affinato la sua abilità di scouting di talenti pittorici che si nutrono delle suggestioni della terra veneta, parte dallo spirito beffardo e arguto che fu di Carlo Goldoni, di Teofilo Folengo, di Andrea Zanzotto e di Goffredo Parise. Per trovare oggi il corrispettivo pittorico della «meno drammatica delle terre italiane» (cit. Guido Piovene), bisogna visitare gli atelier della provincia bresciana e vicentina, andare sul Garda o lungo il Tagliamento, salire sulle Dolomiti o passeggiare in pianura.

È una vivacità poliedrica e variegata quella che appare in mostra, una creatività feconda, colorata, allegra e spesso poetica che ribalta l'immagine di gretto provincialismo, spruzzato di razzismo ed egoismo, con cui una certa vulgata dipinge queste terre. La pittura veneta contemporanea ha il sapore del senso del tempo di Matteo Massagrande, bravissimo nel catturare la polvere di luce che passa dai finestroni (incantò anche Ermanno Olmi) e ha la grazia nostalgica di certe cartoline in bianco e nero disegnate da Vanni Cuoghi. Ha i colori vibranti di Fabio Bianco, che all'Accademia di Venezia ha studiato: il suo Fondale lagunare, una sorta di impressionismo post-moderno, è anche l'immagine-guida della mostra. Sono poi esposte tele come quelle del romano Mauro Reggio che, vedutista originale, si concentra sui Leoni di San Marco e opere, come quelle di Giuliano Guatta, che paiono quasi mistiche: Guatta sceglie la rappresentazione contemporanea di santi locali della comunità dell'Altopiano, ricordandoci così il profondo spirito identitario di questo territorio.

Epica, anzi gagliarda è l'anima del dipinto di Nicola Verlato che illustra la mitologica fondazione di Padova: ci ricorda, spiega Langone, che la città nasce dalla forza di Antenore, principe troiano, tanto per ribadire che il Veneto Felice è una conquista della civiltà, non certo un dono del cielo.

In questo Veneto Felice c'è spazio anche per la trasparenza, la leggiadria e la delicatezza della pittura di Marta Sforni, un omaggio al vetro di Murano, materiale fragile eppur antico, così come antichi e fragili sono i merletti che la veneziana Elisa Rossi fissa sapientemente su tela, contemporanee sperimentazioni di gioia domestica e vera, mai banale.

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