La trilogia parigina di Virginie Despentes racconta l'Europa con (dolce) furia

Una «maratona» che mette alla berlina un Continente grigio e burocratico

Gian Paolo Serino

Un romanzo che ha il respiro di un classico mentre le parole corrono velocissime o al rallentatore, dipende da voi: un romanzo di una magnificenza che ricorda i feuilletton, i grandi romanzi dei maggiori scrittori europei dell'800 pubblicati a puntate sui quotidiani francesi e inglesi: perché anche questo romanzo racconta di una favola amara che purtroppo è la nostra. La Trilogia della città di Parigi di Virginie Despentes (appena pubblicata da Bompiani nella traduzione di Tiziana Lo Porto) è fuoco che arde tra le ceneri morali del nostro tempo.

Oltre che un romanzo è riuscita a scrivere un libro che supera il vecchio concetto americano dei bestseller turner page (che non vedi l'ora di finire) e introduce un ritmo di scrittura che ha la stessa identica forza delle nuove serie televisive -quelle prodotte da Netflix o Amazon Prime- che sconvolgono anche il tempo: non si deve aspettare, come nei vecchi telefilm della televisione generalista, il giorno dopo o la settimana per vedere come andrà a finire: ci sono già tutti gli episodi. E lì si innesta uno strano meccanismo, tra piacere e dipendenza: solitamente si passano giorni di full immersion, una sorta di maratona cinematografica che gestiamo noi da casa e che è molto simile ad una caramella tira l'altra. E tra queste pagine, sono 956, ci perdiamo affascinati da questa scrittura quasi ipnotica ma al contempo capace di renderci in uno stato ancora più di veglia, pronti a scoprire ogni parola, ogni frase in attesa dei monologhi del protagonista che non sono patetici sermoni alla Michel Houellebecq ma autentici passaggi di poesia politica.

Despentes (che sarà a Ferrara il 5 ottobre alla festa di internazionale) ci sveglia dal torpore della nostra letteratura in un romanzo che è una molotov d'inchiostro contro il sistema, ma non è mai mera contestazione. È un romanzo rock nero come la luce che diffonde su una Francia sconquassata dall'arroganza di una sinistra che ha perso la propria ideologia senza perdere la propria missione: avere un nemico. Il nemico è chiunque contesti il modo di pensare e di agire dei comunisti che hanno cambiato nome negli anni, ma hanno quell'aria di sufficienza di chi è automaticamente dalla parte della ragione. Siamo tutti dei Gad Lerner che non usano più neanche la lavagna o nel suo caso i ciclostili ma la televisione come emblema di un mondo migliore ed ideale, dove tutti sono i benvenuti purché non si affaccino alle finestre di casa nostra.

Il libro parla di rock, femminismo, nuovi social ma con la capacità di muoversi tra le lettere come il jazzista scrittore Boris Vian della Parigi anni '50 e il Bret Easton Ellis di American Psyco. Una lunga e furiosa cavalcata nella Nuova Europa dove burocrazia, democrazia e tecnologia controllano la nostra vita attraverso i soldi e i divertimenti. Una grande casa chiusa, enorme, dove solo chi è al vero Potere, la Finanza, gestisce le nostre vite come in una serie tv. Certo l'idea non è nuova (basti pensare a Guy Debord, Jean Baudrillard e Paul Virilio solo per citare i sociologi francesi più celebri) ma la Despentes è un autentico genio nel riporre le tessere di una era antropologica dove tutto è messo sullo stesso piano. E grazie alla sua scrittura riesce a farci comprendere davvero le cose come stanno, con una delicatezza femminile e al contempo con una durezza da batterista rock, che ci fa capire dove (non) viviamo.

A lettura finita vorremmo rileggerlo, dar nuova vita al romanzo, e allora usciamo di casa e corriamo in libreria a comprare un'altra copia da regalare al nostro miglior amico perché magari capisca anche lui la follia dei nostri giorni.

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