Però rimane un dubbio. Il solito. Dove stanno andando gli U2? Stanotte, durante il Superbowl che, detto tra noi, raccoglie oltre cento milioni di telespettatori, hanno fatto trasmettere un loro nuovo brano, registrato dal vivo tempo fa in uno studio di Santa Monica. Si intitola Invisible e ha come «claim», come slogan, un verso molto U2 ma anche molto vago: «Qui non ci sono loro, ci siamo solo noi». L'idea di condivisione. La voglia di aiutare. Tutto bello, tutto perfetto. Il brano, oltretutto, è stato disponibile su iTunes per 24 ore a download gratuito grazie a un accordo tra Bank of America e Red (la charity fondata da Bono quasi dieci anni fa): per ogni download, la banca ha donato un dollaro all'organizzazione di Bono che lotta contro Aids, tubercolosi e malaria. Tetto massimo due milioni, mica spiccioli. Un'operazione kolossal, senza dubbio un affarone di solidarietà. Ma la canzone? Il brano è quasi più anonimo di Ordinary love, incluso nel film Mandela - Long walk to freedom, fresco vincitore di un Golden Globe come miglior brano originale e per settimane altissimo in rotazione in quasi tutte le radio del mondo. «Non è certo il nuovo singolo dell'album, è soltanto un'anticipazione, chiamiamola confidenziale, per ricordare che siamo ancora vivi», ha spiegato Bono appena prima di assicurare che «abbiamo un altro brano che ci piace di più immaginare come primo singolo del nuovo album». Quindi rimane il dubbio. Nonostante sia prodotto da Danger Mouse, uno che sa bene come sta girando la nuova musica, Invisible è un tipico brano U2 che potrebbe far parte della scaletta di tutti i loro dischi da Pop in avanti (dicesi anno 1997). Giro di basso. Rullata di batteria. Inconfondibile chitarra di The Edge. E poi sua maestà Bono che canta (a modo suo, quindi benissimo) un liberatorio «è come una stanza appena ripulita dal fumo». In realtà, al di là del fraseggio di chitarra sopra la sufficienza, con questa canzone gli U2 hanno dimostrato di essere sopravvissuti ma non si sa per quanto ancora sopravviventi. Un conto è se i Rolling Stones pubblicano come singolo una stereotipata ma sufficiente Doom and gloom giusto per potersi legittimare un altro ricchissimo anno di tournée. Sono i Rolling Stones, bellezza, e hanno un'età media sopra i settant'anni.
Gli U2 no. E sono ancora in bilico tra restare più o meno attuali oppure diventare la nuova band vintage che non aggiunge nulla di nuovo ma fattura milioni in concerti e merchandising. Da questo nuovo brano pare più probabile la seconda ipotesi. E, se vi capitasse, basterebbe confrontare l'energia (non fisica ma creativa) degli U2 dell'anteprima di Sunday bloody sunday durante l'Us Festival del 1983 con quella di Invisible trasmessa per cento milioni di telespettatori al Superbowl. Per carità, nel pop i paragoni servono quasi mai a nulla. Ma talvolta rendono l'idea. In poche parole, quattro anni dopo il disco No line on the horizon, gli U2 sono rimasti ancora lì. Bravissimi ma. Inimitabili ma. Forse per questo la prova «di essere ancora vivi» è stata collegata a un'iniziativa benefica. E forse per questo non si è ancora ricucita la frattura nella band tra chi vorrebbe essere più attivo, come si dice, «sul fronte del sociale», e chi farebbe soltanto il proprio mestiere: suonare rock, possibilmente grande.
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