I dominatori della scena televisiva americana (e quindi mondiale) stanno cambiando. Ecco l'impressione che si ricava vedendo come si è chiusa la serata degli Emmy (l'equivalente televisivo degli Oscar) al Nokia Theatre di Los Angeles. Domenica alcune delle serie più acclamate degli ultimi anni sono rimaste quasi a bocca asciutta. Giusto per fare un esempio, questa sorte è toccata a Boardwalk Empire (gangster-saga ambientata nella Atlantic City anni Venti) E a Mad Men (telefilm di culto sul mondo dei pubblicitari degli anni '60) che, per quattro anni consecutivi, aveva stracciato la concorrenza. E forse non si tratta solo di un cambio «generazionale» tra fiction. Ma potrebbe nascondere anche un cambio di gusti da parte di critici e spettatori. Sia Mad Men che Boardwalk Empire guardano, seppure in modo diversissimo, al passato, ad alcuni dei momenti dorati e vitali della storia americana. Che si tratti della frenesia, anche sessuale, della New York del boom o del proibizionismo e dell'euforia che precedette la crisi del '29 poco importa.
Invece quest'anno per la categoria «Dramas» a stravincere è stata Homeland. La spy story ideata da Howard Gordon (già tra gli autori di 24)e Alex Gansa ha fatto incetta di premi: miglior serie drammatica, miglior attore drammatico (Damian Lewis), miglior attrice drammatica (Claire Danes), miglior plot di una serie drammatica. E il successo alla fine viene proprio dalla trama che racconta i timori di un mondo ancora sotto la minaccia del terrorismo. La vicenda, modellata sulla fiction israeliana Hatufim e con molti echi di un vecchio e glorioso film, The Manchurian Candidate, ruota attorno alle avventure di Carrie Mathison (Claire Danes), agente della Cia convinta che il marine Nicholas Brody (Damian Lewis), ex prigioniero di al-Qaida in Iraq, faccia parte, causa lavaggio del cervello, di una cellula dormiente e che sia un rischio per la sicurezza nazionale. Vero o falso? In una situazione intricatissima passano davanti allo spettattore molti dei rovelli della società americana: il problema dei reduci, la privacy, i disordini post traumatici da stress, gli attentati... Successo immediato di pubblico (tra i fan dichiarati c'è anche Obama) e ora anche il riconoscimento dei membri dell'Academy of Television Arts&Sciences. E anche la serie che ha dominato la categoria «Comedy» gioca sul presente «casalingo» degli americani. Modern Family infatti, già strapremiata nel 2009, nel 2010 e nel 2011, si conferma un asso piglia tutto: miglior serie comica, miglior attore non protagonista (Eric Stonestreet), miglior attrice non protagonista (Julie Bowen), miglior regista (Steven Levitan). Del resto la serie, molto left wing, mette in burla l'altro versante dei «guai» americani: il melting pot, la famiglia allargata, i nuovi modelli sociali, l'adozione da parte di genitori gay. E anche tra le serie «minori» a vincere è stato chi si è orientato sull'oggi: il film Tv Game Change che raccontava la campagna elettorale Obama vs McCain ha vinto molto, compreso il premio per l'attrice protagonista di una miniserie andato a Julianne Moore (interpretava Sarah Palin).
L'unico che è riuscito a portarsi a casa un premio prestigioso puntando sulla storia è stato Kevin Kostner miglior attore protagonista di miniserie con Hatfields & McCoys. Ma parliamo sempre di uno dei pezzi da Novanta di Hollywood.
Quanto al pubblico italiano, avrà la possibilità di dare il suo giudizio su un buon numero di queste serie.
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