Woodstock, Stato di New York, un mese circa dopo lo sbarco sulla Luna, mentre - sotto la prima presidenza di Nixon - gli Stati Uniti fanno gli ultimi tentativi per piegare il Vietnam del Nord.
Già minato per la reazione di massa (un americano su quattro ha meno di venticinque anni) alla coscrizione obbligatoria, il fronte interno vacilla. Non è solo Hollywood, come accade oggi, a insorgere contro la guerra in Asia orientale che non si può vincere: sono tv, stampa, università dellEst, a cominciare dai docenti.
Ogni ragazzo che converge su Woodstock, specie se non è ricco e non è bianco, sa che da un giorno allaltro potrà essere sorteggiato per partire di leva; e fra quelli che sono tornati dallIndocina nessuno è lo stesso di prima.
In quel clima intenso fra paura di morire e voglia di (ri)vivere, il sabba musicale, dove il rockn roll cavalca fra sesso e droga, fa epoca. E non solo per la qualità dei cantanti.
Quarantanni dopo, Ang Lee evoca quelle giornate nella sola maniera possibile, salvo ricorrere a documentari depoca. Dunque non mostra la scena, mostra il retroscena. Sceglie come personaggio principale Eliot Tiber (Demetri Martin), giovanotto oppresso dalla madre (Imelda Staunton), che riesce a improvvisare la riapertura del fallito motel di famiglia, in una campagna fino a quel momento poco frequentata.
Cè di tutto, intorno: gente che si mette nuda appena può, senza vantaggio estetico; travestiti vigorosi (Liev Schreiber), che in Vietnam hanno imparato a uccidere a mani nude; drogati in quantità, spacciatori di Lsd a volontà. Chi può, si accoppia, anche nel fango, se non ha un letto o un sacco a pelo. E non necessariamente con qualcuno dellaltro sesso, così è convinto di emanciparsi...
La retorica liberatoria è logora, ma è interessante vedere che il cinema (da festival, in questo caso: il film era in concorso a Cannes) non ha di meglio da evocare nel passato relativamente recente. Alla fine della festa, che cosa resta? Una cavalcata fra i rifiuti dellimmenso accampamento. «Waste Land», direbbe T.S. Eliot (solo omonimo di Eliot Tiber).
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