Ho visto Dillinger, il miglior film di John Milius, quando uscì (1973) e lo ricordo bene. Ho visto Nemico pubblico, il miglior film di Michael Mann, un mese fa e lo ricordo appena.
Eppure è sempre la storia di John Dillinger. Sarà che Christian Bale, nel ruolo di Purvis, non vale limmenso Ben Johnson; sarà soprattutto che Johnny Depp non è linarrivabile Warren Oates. Certo è che il paragone tra questi due film corrisponde al paragone fra due epoche: anche il miglior film doggi, come Nemico pubblico, è solo un algido clone del miglior film di ieri.
Siamo fra 1930 e 1933. A differenza che in Russia, la lotta di classe negli Stati Uniti non ha preso forma collettiva, ma individuale. Però divampa quasi egualmente sanguinosa dopo la grande crisi del 29, analoga a quella che abbiamo appena cominciato a vivere oggi. Dunque ognuno per sé e Dio contro tutti. Dillinger è un giovanotto che non ha una particolare coscienza politica; si limita a perseguire il sogno americano: vince chi muore più ricco. E lui, prima di morire, ne ammazza tanti. Si porta dietro anche un amore (Marion Cotillard), il cui ruolo è a sua volta di dare un appiglio al pubblico femminile, che dovrebbe invece restare a casa, perché qui i peccati capitali escludono la lussuria, salvo giudicare tale la visita al bordello per avervi asilo.
Allo spettatore europeo resterà ostica la questione delle giurisdizioni dei singoli Stati, che terminavano ai loro confini. Allora il crimine federale era una figura meno diffusa di quanto lo sia oggi. Perciò bastava unauto, come prima era bastato un cavallo, per stabilirsi altrove quasi serenamente.
Ma veniamo allessenziale. Milius aveva capito da Raymond Chandler che non esiste una faccia pulita del dollaro. Perciò aveva messo sullo stesso piano il cacciato (Dillinger) e il cacciatore (Purvis). Mann ci prova, ma non ci riesce.
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