di Roger Nimier
A lungo, ho creduto di tirarmene fuori senza danni. Appartenevo a quella generazione felice che avrà avuto vent'anni per la fine del mondo civilizzato. Ci avranno dato il più bel regalo del mondo: un'epoca in cui i nostri nemici, che sono quasi tutta la gente adulta, non contano un accidente. Il vostro comfort, il vostro progresso, vi consigliamo di applicarli ai migliori sistemi di sepoltura collettiva. Vi assicuro che ne avrete un gran bisogno. Perché, lentamente, andrete sparendo da questa terra, senza capirci nulla di questi frastuoni, di questi rumori, né delle torce che agitiamo. Fan giusto vent'anni, imbecilli, da che preparavate nei vostri congressi il riavvicinamento della gioventù del mondo. Adesso siete soddisfatti. Abbiamo operato da noi questo riavvicinamento, un bel giorno, sui campi di battaglia. Ma voi non potete capire.
Questa sudicia storia che a stento oso chiamare la mia vita, questa sudicia storia è durata cinque anni. (...)
Gli inglesi stavano per vincere la guerra. Il blu marina sta bene col mio colorito. I viaggi formano la gioventù. E certo, sono rimasto. Al momento, ho rivestito un'uniforme più umana, quella degli eserciti alleati. Dunkerque, la Somme, quelle storie datano almeno un secolo. C'è una festa nella piazza del villaggio. La musica della giostra coi cavallucci mi spacca i timpani. La polvere acceca i bimbi. Mi acceca. Non è il caso ad avermi condotto in questo primo esercito francese.
Ho avuto torto, lo so, e muoio di rabbia. La guerra del '39 era idiota, la Resistenza era mezza folle; quanto alla Milizia, ebbene, era male. Morirò dunque in questa campagna, sarà molto più semplice. Morirò facilmente.Traduzione di Marco Settimini
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