Negli anni Venti e Trenta incidere una canzone era una vera e propria avventura. Prima dell'avvento del fonografo i musicisti folk (o country, o blues ecc.) dovevano sottostare a pratiche a dir poco singolari. Lo racconta lo splendido documentario American Epic, diretto da Bernard MacMahon, di cui esce in doppio cd o in quintuplo cofanetto la colonna sonora firmata da due giganti della cultura popolare e rock come Jack White e T. Bone Burnett. Nell'album la crema della scena popolare americana, da Willie Nelson a The Americans, da Merle Haggard (recentemente scomparso) al buon vecchio Taj Mahal passando per Elton John (il più pop del lotto) e i re del nuovo country Avett Brothers senza dimenticare la regina del soul Bettye Lavette e i vagabondaggi sonori di Beck.
Tutti questi artisti si mettono al servizio della musica tradizionale per un disco dai sapori irripetibili. I classici del blues e del country o le ballate non sono stati semplicemente rimasterizzati, ma restaurati usando i rudimentali metodi di incisione dell'epoca. L'ingegnere del suono Nicholas Bergh ha ricostruito una sala di registrazione degli anni Venti, l'unica oggi esistente al mondo. Consiste di un solo grosso microfono, una pila di amplificatori alta un metro e ottanta, un incisore di lacche per vinili messo in funzione da un sistema di pesi e carrucole. Ciascun musicista aveva a disposizione tre minuti, il tempo che i pesi, girando in senso orario, arrivassero a terra e imprimessero le tracce sul vinile. Questo metodo originale era chiamato «catching lightning in a bottle» (ovvero «catturare il fulmine in una bottiglia») .
Un occhio allo schermo per vedere il documentario e l'orecchio attento alle canzoni per capire il tessuto sociale di quell'America così avventurosa che tutti gli appassionati di musica popolare hanno imparato a conoscere e ad amare e di cui oggi sono eredi artisti come Tim Grimm, che incide musica senza tempo con i suoi famigliari e ha appena pubblicato il cd dal significativo titolo A Stranger in This Time.
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