Gli spettri del detective Kiley

di John Harvey

Era metà mattinata e Kiley si trovava nel suo ufficio, due piani sopra il negozio di un’organizzazione benefica a Tufnell Park, nel dubbio se farsi la terza tazza di caffè o meno. Indagini, recitava l’annuncio sulla stampa locale, Private e Confidenziali. Attività di Sicurezza A Tutto Tondo. Ex-Poliziotto Metropolitano. L’assenza della moquette gli consentì di sentire immediatamente i passi sulle scale. Una pausa e poi un colpo sulla porta.
La donna era prossima alla quarantina, ma vestiva come se fosse più giovane di dieci anni e ne dimostrava almeno quarantacinque. Aveva gli occhi di una che si svegliasse ogni mattina convinta di restare delusa e che si sbagliasse raramente, se non mai.
«Jack Kiley? Piacere, Rita Barnes».
La sua mano era un ammasso di anelli dozzinali e ossa.
Kiley quel nome lo conosceva e un istante dopo capì perché.
«Bradford Barnes era mio figlio».
I fiori si erano sparpagliati sull’asfalto per centinaia di metri dal punto in cui era stato ucciso; per tutta la notte, qualcuno aveva fatto bruciare delle candeline. Fotografie e messaggi erano stati appiccicati al muro. Per sempre nel cuore. Una tragica perdita. Bradford stava tornando a casa da una festa. Non era tardi, poco più che mezzanotte. Aveva sfiorato inavvertitamente la spalla di una giovane donna che procedeva in senso opposto. Quando si era fermato per porgerle le sue scuse, uno degli uomini che accompagnavano la donna aveva alzato prima la voce e poi la mano. Era volato qualche cazzotto e poi era balenato un coltello. Quel gruppetto si era allontanato tra le risa, lasciando Bradford a terra. Un dato statistico ancora caldo, che stava soffocando nel suo sangue. Il ventiduesimo giovane a essere accoltellato a morte nella capitale quell’anno. E dire che mancavano ancora mesi alla fine dell’anno. Roba da gang, traffici di stupefacenti finiti male; un’occhiata sbagliata, una parola sbagliata, il posto sbagliato al momento sbagliato. Questione di rispetto.
«Ricordo», disse Kiley.
I fiori erano appassiti da tempo ed erano stati spazzati via. Le foto erano state strappate via.
«La settimana prossima sarà un anno che è stato ammazzato - disse Rita Barnes - a soli tre giorni dal suo cazzo di compleanno e questa cazzo di polizia non ha ancora una cazzo di pista per le mani».
Tirò fuori una busta dalla borsetta e contò le banconote sulla sua scrivania. «Qui ci sono duecentocinquanta sterline. Ne troverò altre. Acciuffi quel bastardo, intesi?».
Che cosa avrebbe dovuto dirle? Che era una perdita di tempo per lui e di soldi per lei?
Beh, il tempo non gli mancava.
Una volta che se ne fu andata, telefonò a un ispettore di polizia che conosceva presso la stazione locale. Jackie Ferris lo incontrò nella stanza sul retro della Assembly House, il cui rivestimento in legno scuro e le cui finestre decorate richiamavano alla memoria giorni più gloriosi.
«Non abbiamo una cazzo di pista, è questo che ha detto, vero?». Ferris, ancora in servizio, stava bevendo un lemon&lime.
«Si sbaglia?».
«È dal primo giorno che abbiamo ben più di una pista. Jason Means. È la sua ragazza quella contro cui è andato a sbattere Barnes. Ha la fedina penale e l’insolenza per essere stato lui. Ma le analisi scientifiche non ci hanno rivelato niente e, sorpresa, sorpresa... nessuno parla. Per lo meno, non con noi». Ferris sollevò il bicchiere. «Chissà che tu non abbia più fortuna di noi».
Rachel Sams abitava al settimo piano di un grande condominio di otto piani, nei pressi di una piscina ormai chiusa, sulla Prince of Wales Road. Tre degli appartamenti sul suo piano avevano porte e finestre sbarrate ed erano chiusi a doppia mandata. Ai primi due tentativi di Kiley, la donna si rifiutò di aprire e poi, quando lo fece, gli richiuse subito la porta in faccia. Ci volle uno scroscio torrenziale di pioggia - con Rachel impegnata a lottare con il vento per spingere una carrozzina carica di sacchetti del supermercato e dentro la quale un bimbo di due anni strillava a più non posso - perché Kiley riuscisse ad aprire le trattative.
«Lasci che l’aiuti».
«Si fotta!».
Però, la donna si ritrasse mentre lui, dopo aver tirato fuori i sacchetti e averglieli consegnati, sollevava la carrozzina, e gli fece strada.
Kiley la seguì nell’appartamento e, dato che lei non protestò, si chiuse la porta alle spalle. La stanza era dominata da un grande televisore al plasma. I mobili erano per lo più di terza o quarta mano. Il pavimento era costellato di giocattoli. Mentre Rachel cambiava il pannolino del bambino, Kiley trovò un bricco di caffè istantaneo in cucina.
Si sedettero sulle estremità opposte di un divano che stava sprofondando mentre il bimbo faceva una catasta di mattoncini di legno e poi la faceva crollare con un forte grido e ricominciava da capo.
«Darren, Cristo Santo!».
«È il figlio di Jason Means?» chiese Kiley.
«E se anche lo fosse?».
«Jason lo viene a trovare spesso?».
«Quando gli tira».
«La madre di Bradford Barnes è passata dal mio ufficio più o meno una settimana fa...»
«E allora?».
«Vuole sapere cosa è successo a suo figlio».
«È morto, giusto? Che altro vuol sapere?».
«Vuole sapere chi lo ha ucciso. Vuole un po’ di... come definirla? Giustizia, immagino».
«In tal caso, qui non la troverà di certo».
Kiley sostenne il suo sguardo finché lei non lo distolse.
Da quel giorno, passò a trovarla quasi ogni settimana, talvolta presentandosi con un regalino per il bimbo.
«Mi ascolti - disse Rachel - se pensa di potermi portare a letto...»
Ma, bloccata al settimo piano di quel condominio, non sembrava avere amicizie in soprannumero, inoltre, non appena Kiley si presentava a casa loro, Darren gli sgattaiolava sulle gambe e si metteva allegramente a tirargli i capelli. Kiley non aveva mai più pronunciato il nome di Bradford Barnes.
Una decina di giorni prima di Natale, con una bassa, piatta cappa plumbea per cielo, Kiley passò dall’appartamento e trovò Rachel che gettava oggetti di ogni tipo dal balcone, il suo viso una cascata di lacrime.
«Bastardo! Bastardo infame!».
Kiley cercò di calmarla e lei gli si scagliò contro, graffiandogli il labbro fino a farlo sanguinare. Quando finalmente fu tornata in sé, tremava ancora tutta. Darren si era acquattato in un angolo, spaventato.
«Un amico mi ha telefonato per dirmi che Jason si sposa. Tutto qui. Con quella lurida troia di Stockwell. L’ha letto sul fottutissimo Facebook o qualcosa del genere». Prese in mano una tazza semivuota e la scagliò contro il muro. «Beh, imparerà che non mi può trattare così, cazzo! Questa me la paga, cazzo!».
Kiley restò in silenzio mentre lei gli raccontava cos’era successo quella sera, come Jason Means aveva colpito Bradford Barnes col coltello per ben tre volte, una al collo e due al petto, prima di allontanarsi ridendo. Kiley telefonò a Jackie Ferris, che ascoltò Rachel mentre raccontava nuovamente la sua storia, dopodiché, promise di occuparsi di Darren intanto che loro due andavano alla stazione di polizia in maniera che Rachel potesse fare una deposizione.
Tre giorni dopo, Jason Means fu arrestato.
Rita Barnes aveva le lacrime agli occhi quando passò da lui per ringraziarlo e per chiedere quanto gli dovesse ancora e Kiley disse di lasciar perdere, che andava bene così. Se non avesse dovuto pagare l’affitto, le avrebbe restituito persino le duecentocinquanta sterline.
«Né è sicuro?».
«Certo».
Lo baciò su una guancia.


Quella sera, Kiley si incamminò fino al punto in cui Bradford Barnes era stato ammazzato. Se ci si prestava attenzione, si potevano scorgere i segni delle foto che un tempo vi erano state affisse: un giovane sorridente, tutta la vita davanti, spettri sul muro.
John Harvey(traduzione di )

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