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Spie in minigonna, le bellezze del Mossad addestrate a vincere le torture

Le 007 donna hanno sempre scatenato l'immaginazione di letteratura e cinema, ma quelle della Germania Est erano reclutate perchè brutte, zitelle e cattive. Micidiali come quelle dei servizi segreto israeliani. Ma queste invece sono belle. Da far paura

Negli anni della Guerra fredda a est le spie piacevano gelide. Soprattutto all'Hva il servizio di informazione della Germania Orientale. Le reclutava con precisi criteri estetici: bruttine, sciupatine, frustrate quanto basta. Eppure efficientissime, micidiali. Come Sonja Silvia Goesch, berlinese, diplomata parrucchiera, con un viso d'aquila e un corpo da corazziere. Diventò segretaria del ministro e leader liberale Martin Bangermann. Non si fece mai notare, non commise mai il minimo errore, la scoprirono solo quando il muro venne giù. O come Ursula Richter, che usò per anni il suo ruolo di contabile dell'Unione profughi dell'Est per reclutare spie da infiltrare a Ovest. O Margareth Hoecke, dall'aria più zitella che single, che travestita per anni da impiegata negli uffici della presidenza della Repubblica tedesca passò tutto il passabile al nemico. Racchie, zitelle e cattive. E fredde come la guerra che combattevano.
Spie belle da far paura sono sempre state invece le israeliane. Una delle più spettacolari che ormai fa parte della leggenda è Lily Kastel che entra nel Mossad nel 1954 ma realizza il suo capolavoro quindici anni più tardi: nel 1969 travestita da turista americana si infiltra in Irak e convince un pilota iracheno, Munir Redfa, ad accettare un milione di dollari per trasportare a Tel Aviv l'ultimo modello di caccia russo.
Ma non è male nemmeno Nima Zamar, pseudonimo di una ex agente di Gerusalemme, di nazionalità francese, brillante informatica, ingaggiata per infiltrarsi nei gruppi Hezbollah che operano nel sud del Libano e addestrata a sopportare terribili torture, a dormine saltuariamente e a reagire con freddezza alla prove più crudeli. Ha una figlia, il papà è un agente morto in missione, non si sa ora dove sia. E soprattutto chi sia.
Alla storia invece è passata Marita Lorenz, brunetta di Brema, per sette mesi amante di Fidel Castro. Finita la storia la Cia la convinse a tornare a Cuba per avvelenare il Lider Maximo «ma nel momento decisivo non ressi: lo amavo troppo. Versai il veleno nel bidet di una stanza dell'hotel Habana Libre». Il suo nome rispuntò una volta nell'assassinio Kennedy, un'altra nel Watergate. Che cosa c'entrasse ancora non si sa...


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