È il motto olimpico per eccellenza, da sempre attribuito al barone parigino Pierre de Coubertin, fondatore dei moderni Giochi. Ma quel «l'importante non è vincere, ma partecipare» che tanto ha fatto, fa e farà discutere, non è di de Coubertin che, anzi, l'ha ripreso, scippandolo a Ethelbert Talbot, vescovo della Pennsylvenia (presente a Londra per un convegno di anglicani), pregato dagli organizzatori di placare la sdegnata delegazione americana che voleva ritirarsi per la sconfitta contro gli inglesi nel tiro alla fune.
E il 18 luglio dal pulpito della cattedrale di San Paolo, nella messa officiata per gli atleti americani, Talbot affermò che: «La lezione di Olimpia è che i Giochi in se stessi sono cosa migliore delle gare e dei premi e anche se uno solo ottiene l'alloro, tutti gli altri possono condividere l'ugual piacere della contesa». E il furbo barone, presente al sermone, il venerdì successivo a un pranzo riformulò le parole ascoltate e a passare alla storia è stata la sua frase copiata.
di Gian Piero Scevola
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