A suo modo storico. Il 2014 del grande calcio europeo segna la fine di una dittatura. È la caduta di un dogma, quello che vuole i brasiliani comandare la classifica degli stranieri nei grandi campionati e cioè Premier League, Serie A, Liga, Bundesliga e Ligue 1. Il golpe lo mette a segno la Francia e fa specie perché i calciatori francesi sono stranieri in quattro campionati. Il sorpasso è di un'unità 113 a 112, ma il Brasile deve guardarsi anche dall'Argentina che lo ha agganciato al secondo posto.
Per spiegare la regressione brasiliana ci sono diverse chiavi di lettura. L'effimero boom economico dell'economia locale che ha riversato nel calcio parecchi soldi anche grazie al traino dei mondiali disputati quest'anno. Così diversi calciatori sono tornati a casa attirati da super ingaggi mentre chi era in partenza non ha avuto difficoltà a resistere alle lusinghe europee. C'è poi una difficoltà oggettiva legata alle trattative: soprattutto in Sudamerica al tavolo non si siede più solo il club d'appartenenza, ma anche i fondi d'investimento costituiti appositamente che detengono una parte del cartellino. Un fenomeno che si espande a macchia d'olio, solo in Europa si calcola che siano oltre mille i giocatori i cui cartellini non sono posseduti interamente dai club di calcio. Infine c'è anche la crisi che attraversa la scuola brasiliana, confermata dalla squadra del mondiale, una delle più «povere» tecnicamente nella storia del Brasile.
Nel panorama calcistico europeo attuale se si dice Brasile si pensa solo a Neymar e Thiago Silva. Invece l'Argentina mette in vetrina Higuain, Tevez, Aguero, Di Maria e Messi, ma non si possono dimenticare Lavezzi e Mascherano. E la Francia non è da meno con Ribery, Benzema e Pogba. Perché la migrazione nel calcio è soprattutto questione di talenti, di attrazioni da mettere in vetrina. Negli ultimi cinque anni la classifica degli espatriati stilata dal Cies Football Observatory dice che il vero boom è quello della Spagna: nel 2009 erano 19 gli spagnoli all'estero ora sono 41. Frutto della crescita di un movimento che ha vinto tutto. E se si vuole una conferma basta guardare al Belgio: da quindici a quarantuno giocatori espatriati in un lustro. Doppia cifra positiva anche per Germania, Giappone e Cile. In recessione l'Africa.
Invariato l'export del made in Italy, mai oltre le sedici unità. L'Italia pensa soprattutto a importare e sempre più spesso non fa rima con qualità: la percentuale di stranieri in serie A sfiora il 55 per cento, solo cinque anni fa era ferma a un accettabile 42 per cento. Tredici punti percentuali in più sono lo specchio di una situazione inaccettabile. Anche perché di qualità se ne importa poca: tra le new entry della scorsa estate promossi finora Menez, Manolas, Djordjevic e pochi altri. E non è finita perché nel mercato di gennaio la colonia potrebbe allargarsi ancora. L'Inter si è portata avanti ingaggiando il brasiliano Sylvinho come vice di Mancini. Scherzi a parte i nerazzurri pensano a Campbell del Costa Rica, sfidano per Rolando la Juve che ha preso il baby Pochettino in Argentina dove la Roma guarda per la corsia di sinistra.
Così resta impietoso il confronto con gli altri Paesi, anche l'Inghilterra che vanta il record di stranieri è ferma alle cifre
di cinque anni fa. La strada è quella indicata dalla Germania, che compra sempre meno dall'estero, o dalla Spagna sempre sotto il 40 per cento di stranieri nella Liga. Non a caso sono i vincitori degli ultimi due Mondiali.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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