«Nessuno è sano a Londra, nessuno può esserlo». Prendendo in prestito una citazione di una scrittrice britannica, Jane Austen, c'è da riflettere su quanto sta accadendo nella capitale inglese, sede dei Mondiali di atletica leggera. Tra intossicazioni e virus, tra sciocchi fischi e malcelati disappunti, gli atleti vivono in un vero e proprio incubo. Se si pensa a 5 anni fa, allo spirito olimpico, al significato di Giochi, che altro non è che il plurale di gioco, beh ecco ora è tutta un'altra musica. Sì, musica e sofferenza.
Se ne è accorto Isaac Makwala, atleta del Botswana, sconosciuto ai non addetti ai lavori, ma favorito ieri sera per una medaglia nei 400 maschili, se solo non fosse stato vittima di virus gastrointestinale. Ieri sera, in realtà, Makwala si è presentato con lo zainetto da gara, ma i medici della Iaaf lo hanno letteralmente bloccato, perché malato. Quindi soggetto indesiderato. «Sono arrivato per correre la finale ma mi hanno negato l'ingresso allo stadio, è stata una decisione del governo non della Iaaf. Non sono malato. E poi nessun medico ha verificato le mie condizioni...». Può capitare un virus, suvvia. Se solo questo di Makwala fosse l'unico e raro caso.
Ieri è stato infatti comunicato che sono una trentina gli atleti colpiti dal norovirus, una patologia che provoca nausea continua e conati di vomito. Non uno ma trenta. E allora il discorso cambia. Atleti irlandesi, tedeschi, canadesi, ospiti al Tower Hotel, costretti a gettare la spugna per lo stesso identico problema. E il virus si sarebbe espanso tant'è che altri casi di gastroenterite si sono registrati pure nell'albergo dove avrebbero dovuto soggiornare gli azzurri in arrivo, tra questi Tamberi, Palmisano e Trost. A scopo precauzionale lo staff sanitario della Fidal, che ha riscontrato un caso di virus in un solo azzurro (Davide Re), li ha fatti traslocare in altro hotel.
Se n'è accorto troppo tardi Makwala che a Londra qualcosa non va, ma prima di lui se ne era accorto Gatlin, fischiato urbi et orbi. Lui che a Londra 5 anni fa era salito sul podio, terzo nei 100, nello stesso stadio. Sì, direte, l'americano ha fatto uso di doping, è stato squalificato, è tornato dal purgatorio e ha battuto il simbolo dell'atletica. Tutto vero, certo. Ma se ne era accorto pure lo stesso Bolt che qualcosa non andava, lamentandosi dei blocchi di partenza, «diversi» dal solito.
Che cosa è successo a quella Londra che solo 5 anni fa ospitò Giochi memorabili? Tante le cartoline rimaste in archivio da allora, con una cerimonia a tutto rock, gare show, un'eccellente organizzazione e la chiusura tra le note delle Spice Girl. Un'edizione il cui motto era «Inspire a generation», ossia ispirare le generazioni. Oddio, ora sembra di vivere in un mondo parallelo.
L'allarme virus, poi, ha creato il panico generale e molte delegazioni hanno puntato il dito contro l'organizzazione che si è difesa così: «Possiamo confermare che l'hotel non era la fonte.
La situazione non è grave ed è tutto sotto controllo». Probabile, possibile, sicuro. Il problema vero non è che la situazione non sia sotto controllo, bensì che la Londra efficiente di cinque anni fa non esista più. Bye bye...
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