Torino Partendo da Winston Churchill («I problemi della vittoria sono più piacevoli di quelli della disfatta, ma non sono meno ardui») e planando su Bob Dylan («Arriva il momento in cui devi cominciare a nuotare altrimenti affondi come una pietra, perché i tempi stanno cambiando»), Andrea Agnelli ha scelto l'assemblea degli azionisti della Juventus, tenutasi ieri a Lingotto, come sede per lanciare una sorta di programma elettorale. Di sicuro, si tratta di un invito forte alle istituzioni per far sì che il calcio italiano torni a essere competitivo. «Il punto di galleggiamento della Juventus sarà quello del calcio italiano, con cui vuole trovare soluzioni. Ci odia mezza Italia, è vero, ma noi faremo di tutto per affermarci».
La parola magica è allora dialogo. Perché se, come ha spiegato l'amministratore delegato Aldo Mazzia, «la causa danni contro la Figc va avanti di fronte al Tar e per la revoca dello scudetto 2006 è stata fissata per il 17 giugno 2014 un'udienza al Tnas», quel che serve è «una riforma strutturale del calcio professionistico - spiega Agnelli - che non può essere trattato al pari del movimento di base: chi sostiene il contrario condanna l'Italia alla marginalità europea e mondiale». Cambiare marcia diventa allora indispensabile mettendo mano, ora che Figc e Lega sono in scadenza, a riforme sostanziali: «Il problema non è chi sarà il presidente dell'una o dell'altra, ma fare sistema. Io candidato? Non ho bisogno di altre cariche, ma entro il 2015 dovremo capire se il nostro movimento potrà tornare ai vertici». Affinché ciò accada, Agnelli ha elaborato una ricetta che va dalla riforma dei campionati (serie A a 18 squadre) alla riduzione dei club professionistici («111 sono troppi», ha sottoscritto Marotta), alla riforma dello status del professionista, alla tutela dei marchi, alla legge sugli impianti sportivi fino alla riforma complessiva della giustizia sportiva e alla vituperata Legge Meladri: «Non si può tornare alla contrattazione individuale - ha ammesso il presidente bianconero - ma si deve trovare una migliore applicazione dei principi da essa stabiliti». E' chiaro che l'attuale suddivisione (40% in parti uguali tra tutte le squadre, 30% sulla base dei risultati sportivi conseguiti e altrettanto secondo il bacino di utenza) non soddisfi i grandi club ed è su questo che si andrà a discutere. L'obiettivo è comunque aumentare i ricavi, spaventati dal dato oggettivo secondo cui il Real Madrid fattura più del doppio della Juventus, 514 contro 213: «Dobbiamo tutti insieme venderci meglio all'estero, perché in Italia più di così è difficile fare. Vogliamo un dialogo, perché alcuni temi che devono aiutare la nostra realtà riguardano il Coni, la Lega, la Figc e il Governo. La Juventus in quanto società privata ha già fatto molto e altro farà, ma oltre un certo limite non può spingersi».
E' chiaro poi che ognuno debba anche guardare in casa propria e lì la Juve spera di stare sempre meglio: il rosso dell'anno scorso (95,4 milioni) è stato pressoché dimezzato (48,7) e nel prossimo esercizio dovrebbe scendere intorno ai 10, «il valore del nostro titolo in Borsa, rispetto all'ultimo collocamento, è aumentato del 40%» e l'ulteriore investimento immobiliare nell'area dello Juventus Stadium - che rimane senza nome, ma la società ha già incassato in anticipo i diritti del naming rights - ne fortifica finanze e prospettive. Colpisce la cifra di 3,6 milioni in commissioni per gli agenti dei giocatori.
C'è infine spazio per difendere Giovinco dai numerosi attacchi dei presenti («l'abbiamo ripreso dal Parma per 11 milioni dopo averne incassati 4 dalla comproprietà», ha puntualizzato Marotta) e per rispondere a Della Valle, secondo il quale ormai gli «Agnelli bisogna andarli a cercare in discoteca»: «L'ultima volta che ci sono andato era per la festa scudetto e mi sono divertito - ha replicato Agnelli -. Mi auguro possa andarci presto anche lui».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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