nostro inviato a Rio de Janeiro
L'ultimo tiro, l'ultimo oro: quando Niccolò Campriani preme il grilletto è già in pace. Era la carabina a tre posizioni, era già argento dopo l'oro di Londra, era a 0.6 punti dal russo Kamenskij, era l'ultimo tiro appunto: sarebbe bastato così. Il tiro a segno è invece un mindgame e l'ultimo tiro non è mai quello che sembra, «ed è l'ultimo tiro per tutti, sapete?». Nicolò spara per primo, segna un 9.2 che praticamente è come tirare fuori un rigore a porta vuota. Sorride sereno, mentre al suo fianco Kamenskij mira il bersaglio della vita: 8.2, il suo rigore lo tira fuori dallo stadio. È oro, un oro azzurro.
Questa è la storia di uno sport che non finisce mai: Niccolò il suo profeta. Potrebbe essere stato davvero l'ultimo tiro il suo, se deciderà di ritirarsi come aveva intenzione di fare, «ma chiudere con un 9.2 non è proprio bello». E poi: «Mi sono divertito. Anche se lo sport non è tutto, c'è dell'altro fuori di qui». Intanto racconta e ammette con sportività: «Kamenskij è stato il migliore tutto l'anno, meritava lui di vincere, sono quasi imbarazzato. Le Olimpiadi non sono un Oscar alla carriera, è una gara che comincia alle 9 del mattino e finisce qualche ora dopo. È qualcosa di strano, è l'ultimo tiro, maledetto». La nemesi, perché la formula che Campriani tanto odia lo ha portato al trionfo. In qualifica, dove è imbattibile, entra ottavo su otto, solo perché il compagno Marco De Nicolo crolla nell'ultima serie: «Vista com'è andata dirà dopo è meglio così. Per me è una grande delusione, ma io in finale non avrei fatto come Nicolò». E viene salvato dalla musica, quella che lui detesta sentire durante le gare: «Avevo fatto una serie terribile e a quel punto è partita una canzone che mi piace. Mi ha aiutato a ripartire». Mr. Brightside dei The Killers. «E subito dopo Into the Wild». L'oro, insomma, ha un suono bellissimo.
E poi la finale, «e non ne potevo più: pensare di fare altri 45 tiri era da pazzi. Ma ho deciso di entrare col sorriso, il sorriso mi serve quando ho l'inferno dentro. E ho deciso di non aspettarmi nulla: ho cercato di rallentare il cuore perché il battito aiuta a prendere il ritmo del colpo. E il cuore mi ha seguito, soprattutto in quel benedetto ultimo tiro. Ho sparato subito, in certi casi non devi pensare. Lui ha pensato troppo...».
Oro, come sei giorni prima a 10 metri, come a Londra: «Kamenskij è stato un signore, abbiamo parlato subito e poteva succedere di tutto. Mi dispiace per lui: è capitato anche a me, so cosa vuol dire». E la dedica è all'amata Petra, Petra Zublasing, lei rimasta fuori dal podio per un maledetto ultimo tiro nella sua gara preferita, la stessa: «È il nostro sport, lo sappiamo. Ho sofferto con lei, lei ha gioito con me. Facciamo tutto insieme, abbiamo finalmente trovato la giusta dimensione: prima dei mondiali stavamo quasi per lasciarci, ognuno di noi voleva il suo orticello. Adesso siamo qui, insieme, pronti per prenderci un po' di pausa da tutto questo stress». Perché forse non è finita e l'altra dedica è a chi dice che questa non è Olimpiade: «Il tiro a segno mi ha fatto conoscere Petra, mi ha fatto stare con mio padre, mi ha fatto vivere con persone interessanti, mi ha fatto diventare uomo.
Io non sono mai stato un cacciatore, sparo a bersagli di carta. E una volta mi sono pure spostato perché dietro a uno di loro degli uccellini avevano fatto un nido. Venite al poligono, scoprirete cos'è il tiro, quello che siamo». Scoprirete la bellezza di un ultimo tiro.
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