Gentile Gianni Morandi,
non è vero che uno su mille ce la fa. Il problema di questo mondo di ladri, come canta il suo sodale Venditti Antonello, è che non c'è spazio per il rispetto, sono caduti la vergogna e il castigo. Ecco allora che anche la bella e democratica Bulègna si è fatta riconoscere non per le sue torri, per le tagliatelle e piazza Grande, no, ha mostrato nello stadio intitolato al presidente della squadra che tremare il mondo faceva, il volto più idiota, striscioni e insulti ai napoletani, inviti al Vesuvio a provvedere alla bisogna e fischi a Caruso, canzone splendida scritta e cantata da Lucio Dalla, un bolognese che non c'è più.
Forse Dalla aveva capito in anticipo quale sarebbe stato il futuro e ci ha lasciati in anticipo. In verità, gentile Gianni Morandi, è meglio lasciare questo mondo del football che non merita più passioni e fede ma concede gloria agli ultras, al meraviglioso pubblico, a quelli che ricattano calciatori, allenatori e dirigenti e vivono speculando sul tifo, facendo mercato di roba altrui, spacciando droga e violenza. Sono questi i nuovi padroni, una razza bastarda che ha approfittato di un vuoto lasciato dallo Stato e dalla stessa organizzazione calcistica che ha ritenuto di cavarsela con la tessera del tifoso, i tornelli ,le telecamere e le curve punite con la chiusura per una, due partite. Così facendo ha concesso la città agli stessi delinquenti, abbassando le braghe invece di imporre la legge. Mentre il giudice sportivo, attenendosi alle recenti disposizioni federali, ha chiuso la curva per un turno, sospendendo però subito la pena...
Gentile Gianni Morandi, compagno su vinile di feste in casa e primi calori erotici, non è il caso di essere in ginocchio da questi cialtroni, tolga le tende, non abbandoni Bologna ma dimostri a quella ciurma che non son degni di Lei e di tutti quelli come lei.
E che vadano pure allo stadio che porta il cognome di Renato Dall'Ara, il presidente che, di fronte a un azionista che si era detto insoddisfatto per la risposta ottenuta, così replicò: «Se non è soddisfatto lei, sono soddisfatto io».At salùt.
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