Comandano i Genny 'a carogna

Totti, De Rossi & C. a rapporto spaventati dai capi ultrà. Una figuraccia europea in diretta televisiva

Comandano i Genny 'a carogna

Roma vuole le Olimpiadi. Lo stadio porta il nome giusto "Olimpico", qui nei favolosi anni Sessanta vennero celebrati i Giochi di Cassius Clay, Nino Benvenuti e Livio Berruti. Qui, cinquantacinque anni dopo, continuano ad accadere fatti meno olimpici, il popolo canaro del football si fa riconoscere a livello europeo, le scene da trivio, del dopo partita di Euroleague tra Roma e Fiorentina, appartengono al repertorio del calcio italiano, là dove i calciatori sono sotto schiaffo del «meraviglioso pubblico» delle curve, degli ultras, ricattatori facilmente riconoscibili e riconosciuti dagli stessi tesserati. Riassunto: la Roma ne prende tre in un colpo solo dalla Fiorentina, perde la partita, la qualificazione in coppa e anche la faccia, Rudi Garcia prima si sgola e poi se la svigna nello spogliatoio mentre i suoi uomini, tutti, panchinari compresi, vengono costretti, non si sa bene da chi ma deve trattarsi di un complice, a camminare mestamente, a capo chino per la vergogna, verso la curva Sud popolata dai soliti noti ai quali tutto è permesso, sospendere un derby, lanciare ogni tipo di oggetto e, ora, anche minacciare fisicamente. La scena va in diretta televisiva in Italia e nel resto del continente, il delegato Uefa osserva, stupito appena, perché esistono precedenti in quello stadio, da un arbitro svedese colpito da un oggetto lanciato dalla tribuna importante (mai fu cercato e trovato il lanciatore ma il colpevole fu l'arbitro Frisk, sempre, tallonato a casa sua dagli inviati dei giornali!), altre scene da far west con gli inglesi, altre alla vigilia di Napoli-Fiorentina finale di coppa Italia, c'è sempre un Genny 'a carogna o un Ivan il terribil e che riesce a farsi pubblicità nei nostri stadi.

La scena di giovedì sera è proseguita per molti, troppi minuti, i volti dei calciatori romanisti erano quelli di chi ha paura, teme per la propria esistenza quotidiana perché quelli lì sono figuri e non figure, stavano a cavalcioni sulla vetrata che separa la curva dalla pista di atletica, non hanno nemmeno il volto coperto, hanno voglia di farsi vedere e riconoscere come "capi" alla loro ciurma e, sotto di loro, i professionisti ascoltano in silenzio, schivano i lanci di qualunque cosa, bastoni, oggetti vari, accendini, bottiglie.

Che calcio è questo? Che roba è diventata una partita di pallone? È questo lo stadio che sogna l'Olimpiade? È questo il pubblico che si considera maturo per il grande evento? L'Uefa aspetta la relazione del proprio delegato. In caso di sanzioni prevedo già la rivolta degli stessi delinquenti, contro l'Uefa, la Fifa, il potere del nord, «er sistema» . Basterebbero le immagini, la famosa prova tivvù , per capire che a tutto c'è un limite, il sequestro di una intera squadra appartiene agli usi e costumi del nostro campionato, Genova e Brescia insegnano. Ma stavolta c'è l'Europa, c'è altro. Roma non merita quella gentaglia, la Roma dei bostoniani deve difendersi non dagli avversari in campo ma dai parenti serpenti e violenti in casa propria. Nessuno ha il coraggio di ribellarsi a questa forma di razzismo mentale, fisico. Il pubblico paga dunque ha il diritto di fischiare.

Ma questa non è critica e nemmeno contestazione. È violenza. Nei confronti di chi accetta di essere violentato. O si cambia, dovunque, a Roma, a Milano, a Napoli, a Torino, o è il fallimento. Molto più grave e serio di quello del Parma.

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