Dal 14 agosto al 14 settembre. Da Villar Perosa a Firenze. Con in mezzo la paura, anche. «Non respiravo bene, i medici mi hanno fatto capire che era meglio fare un passo indietro prima piuttosto che farlo più lungo dopo». Oggi pomeriggio, un mese esatto dopo l'ultima volta, Maurizio Sarri torna in panchina: tanti saluti alla polmonite, alle voci in alcuni casi anche preoccupanti che ne hanno accompagnato l'assenza e, comunque, a un periodo del quale avrebbe fatto volentieri a meno. «Non è stato semplice rimanere fuori: allenare e andare in panchina è la vita. È stato pesante, ma era giusto così».
Adesso, finalmente, sarà calcio giocato e vissuto in prima persona. Da bordo campo. Ripartendo da Firenze (Mandzukic non convocato, ha offerte dal Qatar), non uno stadio né un luogo come tutti gli altri. Perché Sarri è di Figline Valdarno e la moglie Marina abita ancora lì: esagerando, a mezzora di macchina da dove oggi la Juve cercherà la terza vittoria di fila. Ma non è un impianto come tutti gli altri anche per altri motivi: papà Amerigo, per esempio, è tifoso della Viola. Né si può dimenticare che il 29 aprile 2018 il Napoli di Sarri venne sconfitto dalla Fiorentina la settimana dopo avere violato lo Stadium bianconero, dando l'addio a uno scudetto che in quel momento pareva davvero dietro l'angolo. Scherzetti del calendario e della polmonite, insomma: la Juve lo riaccoglie comunque avendo già battuto Parma e proprio Napoli, guardando tutti dall'alto in basso con Inter e Toro.
Si tratta di confermarsi, adesso. Entrando davvero nel vivo della stagione. E infischiandosene anche di una tradizione non proprio favorevole: da esordiente in panchina (a 60 anni e 8 mesi, il più anziano di sempre su quella bianconera), Sarri ha infatti finora raccolto solo due successi su dodici, guidando l'Alessandria e il Sorrento in C. Altro? Certo: al Franchi, con Empoli e Napoli, l'attuale tecnico juventino ha raccolto il misero bottino di tre pareggi e una sconfitta. Sarà forse anche per questo - chiamatela scaramanzia, se volete - che la società bianconera ha scelto un altro albergo rispetto a quello in cui aveva soggiornato il Napoli la notte della vigilia del già citato tricolore mancato. Si vorrebbe cominciare bene, ecco: non come quando allenava il Napoli, visto che la prima assoluta, data 2015, portò in dote una sconfitta contro il Sassuolo. E pazienza, per una volta, se un eventuale successo odierno darà un piccolo dispiacere alla mamma: «In effetti non era contentissima di me alla Juve. Mia nonna abitava a 500 metri dal Franchi e, insomma, la fede della famiglia è viola anche se io da bambino tifavo Napoli. Qui ho tanti ricordi: l'ultimo è lo scudetto perso, devo sostituirlo con un qualcosa di positivo». Già il fatto di tornare lo è. Ma non basta. Perché alla Juve si deve vincere e stop: «La forza di questa società è anche nella testa.
Non ho mai parlato di vittorie frutto della fortuna: questo è un club dove, trenta secondi dopo avere vinto una partita, si pensa subito a come portare a casa quella successiva». È la Juve, bellezza: operaia nello spirito. Sempre.
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