Dove eravamo rimasti? A quel giorno che sembrava non dovesse finire mai, luminoso perfino, dopo la notte più incredibile della storia del pallone nerazzurro. Era un'alba piena di luce, e invece era il principio del tramonto, ma nessuno dentro San Siro poteva saperlo. Dopo quella notte di lacrime e gioia in cui Moratti abbracciava papà nel cielo, Mourinho in lacrime aveva già pronta l'automobile del Real fuori dalla porta e un aereo stava rombando per riportare a casa con la coppa più bella del mondo una combriccola interistamente scombinata. Il momento più bello e quello più strano, l'Inter aveva concluso la sua Missione Impossibile e ormai sembrava invincibile. Il Triplete: nessuno ci fermerà più, gridavano alla festa di San Siro dov'era presenta mezza squadra sì e mezza no.
Undici anni dopo resta il ricordo sbiadito di una coppa Italia vinta d'abbrivio l'anno seguente e il resto è un cerchio che si chiude. Un romanzo pieno di nostalgia che finalmente può arrivare alla quarta di copertina con quel gusto che si prova quando leggi un libro che prometteva tanto ma che ti lascia un po' d'amaro. Ne cominciamo un altro, dài, che questo sembra meglio. L'Inter di Moratti insomma è finita ieri, finalmente, ma perché non si può vivere solo di ricordi. Grazie Presidente, è stato fantastico, meraviglioso, però ora nessuno la tirerà più per la giacchetta. E se perfino Mou adesso dice «sono un professionista, amo l'Inter, ma ormai potrei tornare in Italia per allenare una sua rivale», vuol proprio dire the end, questa è ancora la stessa squadra, ma un'altra. Sempre pazza? Forse. Perché ancora non sappiamo bene che ne sarà di lei, dopo tutto quello che è successo quest'anno. Ma pazza, sì, perché questo è nel dna, e ci scusi Mister. È un po come avere un presidente di 29 anni e vincere lo scudetto. Ditelo, su: se ve lo avessero raccontato...
Dove eravamo rimasti: ingessati in quel sogno che si stava trasformando in un incubo, ai limiti della follia. Una specie di giorno della marmotta che ogni anno si ripeteva da capo, tanto alla fine vinceva sempre la stessa. Quella lì, tra l'altro. Adesso, a rivedere quel film, sembra pure buffo che a cucire di nuovo il Tricolore sulle maglie nerazzurre sia stato uno come Gasperini, uno dei reduci del decennio più buio. E poi, in fondo, l'aveva capito lo sponsor con quella maglia a zig zag: era un riassunto delle puntate precedenti, con un finale però diritto come un'autostrada. A riavvolgere le immagini, è proprio una storia unica: Il Mondiale per Club degli ammutinati, Stramala, l'Indonesia, Guarin per Vucinic (ma quando mai), Mazzarri (e poi s'è messo a piovere...), l'olandese per caso, Mauro e Wanda contro il mondo.
E non è tutto, neanche a scriverlo prima sarebbe venuto così bene. Poi sono arrivati gli «juventini», e la gente diceva: «Vogliono darci il colpo di grazia». Invece.Invece c'è solo l'Inter, come dice l'inno che rimbomba allo stadio. Ma adesso cambierà pure quello: è finalmente domani.
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