È che lui, Max, guida un'automobile. E questa automobile corre veloce, anche a 340 all'ora. È grossa e fragile al tempo stesso. Lunga, larga, con tante alette che ci vuole un attimo a romperle. Con macchine simili si sorpassano piloti, ci si sfiora, basta un attimo per rischiare la pelle.
È che Max è un appassionato e talentuoso ragazzino di soli sedici anni assunto dalla Red Bull per correre in F1 dal prossimo anno con la squadra satellite Toro Rosso. Appassionato e talentuoso perché papà Jos Verstappen è un ex pilota tutto di un pezzo, un tipo anche veloce che però ha vinto niente in F1 e, come tutti gli ex che hanno vinto poco, sogna di rivivere un'altra carriera attraverso il figlio. E Max, oltre che appassionato, è dotato per via genetica e predisposto perché la formula uno di oggi è diventata uno sport di simulatori e mega playstation e alla generazione 2.0, cresciuta a pane e joystick, serve poco per domarla.
È che sedici anni sono pochi se parliamo di automobili. Aggeggi che di solito la gente guida da grande. E allora qui si apre tutto un altro discorso. Se ad esempio allo stadio esordisce un giovane talento di 16 anni, se fa come El Shaarawy, che aveva sedici anni e fu record quando debuttò col Genoa in serie A, lo si applaude e non ci si preoccupa. Siamo infatti portati a pensare che, in fondo, sia solo un ragazzino che gioca a pallone come i tanti che vediamo nei cortili. Come i nostri figli. Per cui tutto normale, tutto accettabile. Così per le ginnaste cinesi alle olimpiadi che sembrano avere tre tanto sono piccine. Ci scandalizzano perché le vorremmo a giocare con le bambole, ma non per l'esercizio ginnico. In fondo, tutti i nostri figli sono più o meno stati snodati da piccini. Così pure nel nuoto: li mettiamo in acqua a Riccione ancora con il pannolone e «guarda com'è a suo agio il bimbo...» pensiamo fieri. Per cui se la Castiglioni agli Europei di Berlino vince il bronzo nei 100 rana a 17 anni appena compiuti, mica ci sorprendiamo. Persino in un altro sport motoristico, la motocicletta, persino lì non ci scandalizziamo di fronte a centauri precoci. Nel motomondiale i baby prodigio sono stati molti, compreso l'ultimo campione, Marc Marquez, esordiente nel 2008 a 15 anni. Anche qui stesso ragionamento: le moto sono associate come il pallone, la ginnastica, il nuoto al quotidiano dei nostri ragazzi, dei nostri quattordicenni, «mi compri lo scooter papà?». Le auto no. Sono da grandi. Sono per noi. La normativa comunitaria parla chiaro: si guida a 18 anni.
Pensateci, pensiamoci: qualche motivo ci sarà. Magari che le automobili sono grosse e ingombranti, sono veloci, e in strada è più facile fare male agli altri, serve quel briciolo di testa in più. La chiamano esperienza, maturità, diciamo buon senso. Ma in F1 non serve. Serve stupire. Nel nuoto Magnini è vecchio a 32 anni, ora in F1 Vettel è vecchio a 27 appena compiuti. Quel che è peggio è che per arrivare in F1 è questione, oltre che di tanti soldi, di patenti speciali rilasciate in base a gare e serie disputate e vinte nelle competizioni minori. L'età non conta. Se non altro, nel motomondiale qualche limite è stato messo: 16 anni (erano 15) per la Moto3; 18 nella MotoGp. Poca roba, ma almeno un segnale.
Per cui, occhio: avanti così e ci ritroveremo con un ragazzino di terza media che debutta al volante di una Ferrari F1 e allora, c'è da giurarci, Montezemolo & C.
avranno il loro bel da fare nel tenere alto il prestigio del marchio. Altro che le sconfitte di questi anni... Ma quel che è peggio, visto che la F1 anticipa le tendenze automobilistiche, avanti così e ci ritroveremo il compagno alle medie di nostra figlia che ci sorpassa sull'Autosole.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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