In un mondo come la F1 che si è scoperto molto social cè solo un uomo che vive unsocial. Coerente con se stesso fino allultimo. Non sopportava i media prima, non li sopporta adesso. Si chiama Kimi Raikkonen. Ama affrontare la vita al contrario, è un rewind esistenziale in carne ed ossa, un meraviglioso pilota che vive costantemente riavvolto rispetto ai colleghi. Da ragazzo fa due gare in monoposto e per sbaglio si ritrova in F1. Arriva alla Ferrari, vince il titolo e fa poco o nulla per tenersi luna e onorare laltro. Va via. Ritorna. Scopre twitter prima di altri (@kimi_Raikkonen), tre anni fa, lo usa, comunica per un po, prova a superare la barriera che lo ha sempre separato dai tifosi con i cinguettii (da to tweet) di questo messaggiare globale volto alla condivisione e dun tratto si tira indietro. Da quando è tornato in F1, dallinizio dellanno, ha twittato solo il 26 gennaio scorso: «Good to be back» ha scritto. Felice di essere tornato in F1. Poi arrivederci e grazie ai suoi 90mila seguaci crudelmente ignorati.
Una fuga dal social, la sua, mentre altri ci si tuffavano dentro. Vedi Alonso (@alo_ofical) che si è iscritto più tardi di tutti, neppure un paio di settimane fa, e ha già twit-esternato unottantina di volte per i suoi 210mila seguaci in vistosa crescita. La Ferrari pare non volesse. Poi ha lasciato fare. Tanto più che anche la Rossa cinguetta (@insideferrari). Va detto che nel vagabondo pianeta F1 i piloti sembrano più liberi di twittare rispetto ad altri sport. Forse perché sono tali e tanti i trasferimenti in giro per il mondo che alla fine è difficile per le squadre mettere un social bavaglio al pilota e la cosina interessante di tanto in tanto vien pure fuori. Domenica scorsa, ad esempio. Alonso chiuso da qualche parte ha dato il titolo a tutti: «Bicchiere mezzo pieno» ha scritto e fotografato e allegato su twitter dopo il quinto posto di Melbourne.
Come Alonso, più o meno libero di twittare anche Valentino Rossi (@ValeYellow46), 708mila seguaci, tra gli sportivi italiani più social, pochi rispetto a Jenson Button (@JensonButton), il vincitore di Melbourne, 850mila in crescita. Ma per un Alonso in F1 o un Rossi in MotoGp liberi di twittare quasi tutto ciò che vogliono cè chi in altri sport porta il bavaglio e di fatto twitta vere scemenze. «Inizio lallenamento». «Ora parto». «Scendo». «Vado a dormire». «Ora gioco». «Ora smetto». «Stasera pesce». Frasi che a dirle di seguito sembrano parole robottine tipo limitazione di Crozza del premier Monti. Colpa delle grane per certi scambi di tweet vedi Cisse coi tifosi laziali e insulti al seguito, colpa dei battibecchi di Wayne Rooney che fecero infuriare sir Alex Ferguson «basta twitter, leggete un libro...», colpa delle recenti decisioni del Cio in vista delle Olimpiadi riassunte in un vademecum che regolamenta per gli atleti luso di social e blog e cosa scrivere e postare e linkare.
La verità è che ha capito tutto Kimi. Se devo comunicare mando un sms a quei quattro che conosco. Degli altri 90mila seguaci chissenefrega. Tanto più che là in mezzo ci sono un sacco di pericolosi giornalisti.
twitter:@bennycasadei
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