La Formula 1 rischia di incastrarsi in Bahrain tra petrodollari e rivolte

La Formula 1 rischia di incastrarsi in Bahrain tra petrodollari e rivolte

Un grande manager di Formula 1 era solito dire: «Il Circus è un mondo abitato da persone che amano fare cose semplici in modo complicato». Per esempio: «Se c’è un cancello grande così all’entrata del paddock, loro preferiscono passare dalla porticina stretta a lato...».
Per esempio: i motori in quel di Shanghai, circuito cattedrale lontano dalla megalopoli, non si sono ancora accesi - lo faranno domani per le prime libere - ma tutti nel Circus giocano a ping pong. Non lo fanno per omaggiare gli sportivi cinesi, bensì perché si sono incastrati tutti nella porticina stretta a lato del cancellone. La porticina è quella del Gp successivo, quello del Bahrain, Gp fortissimamente voluto dal patron Bernie Ecclestone e a lungo gradito anche a piloti e squadre. Ma ora non più. Colpa di una faccendella leggera leggera come la rivolta lunga dodici mesi della maggioranza sciita dell’isola nel Golfo Persico contro la minoranza sunnita che, come da copione là dove c’è un casino, ovviamente comanda. Colpa di molti arresti, dello sciopero della fame di un attivista, colpa di centinaia di feriti e di 45 morti in un anno e di bombe scoppiate, l’ultima lunedì, sette poliziotti in ospedale, colpa di tensioni mai sopite che la stagione scorsa fecero annullare con largo anticipo la gara mondiale e che quest’anno, con ogni probabilità, la faranno annullare con ampio ritardo. Perché domenica è in calendario il Gp di Cina e perché domenica 22 si tiene quello del Bahrain. Perché squadre e piloti sono partiti per Shanghai con i doppi biglietti in tasca, quelli direzione Golfo e quelli direzione casa. Intanto si gioca a ping pong. Ping: Ecclestone dice «decidano i team, non possiamo costringerli»; pong: «è la Fia, la Federazione che deve stabilirlo, non spetta a noi» ribattono le squadre in una nota Fota, l’associazione dove però non risiedono più Ferrari e Red Bull.
E avanti così. Fino a stamane ora italiana, in Cina, quando si spera verrà presa una decisione definitiva. Tempo logistico non ne rimane molto, nel senso di container, nel senso che il carrozzone F1 è un piccolo Stato itinerante e non può improvvisare. Nel mentre, torna però in mente la metafora del cancello grande e di quello piccolo. Perché la F1 è da settimane incastrata nella porticina del Bahrain che «si fa o non si fa» ma ha serenamente ignorato il cancello a lato spalancato. Il cancello di alcune storiche gare europee sparite senza che nessuno dicesse bah, il cancello del Gp di Francia che non c’è, di quello d’Austria che non c’è, di quello del Belgio che rischia l’alternanza e se alterni Spa e l’Eau Rouge vuol dire che sei ben incastrato nella porticina del Bahrain. Già, il Bahrain dove, per la cronaca, è ormeggiata la Quinta flotta a stelle e strisce, dove è al trono una famiglia sunnita e ci sono molti sciiti sponsorizzati dall’Iran che vorrebbe tanto un ribaltamento degli equilibri e vedere i marinai Usa andarsene. Il Bahrain dove gli organizzatori locali pagano 40 milioni di dollari per ospitare la corsa, dove non c’è lo spread ma uno sceicco in un ruolo chiave nella Fia e dove il governo possiede il 50 per cento della McLaren.
In attesa del verdetto di oggi, meglio dedicarsi ai propositi degli uomini in rosso in vista della gara di domenica. Alonso è in vetta al mondiale e parla di insetti, «l’obiettivo è far punti, come le formiche che mettono via oggi ciò che sarà prezioso nel futuro» dice.

Massa parla invece della sua voglia grande di uscire dal tunnel, «non posso né voglio continuare così» dice. Poi ricordi che una delle sue gare preferite è proprio quella del Bahrain che rischia di saltare e allora pensi che non è proprio il suo anno.
twitter:@bennycasadei

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