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La freddezza di Sinner che Piatti non ha capito

Nel giorno in cui Jannik Sinner ufficializza il divorzio con il suo coach di sempre, c'è il dolore umano più che professionale di Riccardo Piatti

La freddezza di Sinner che Piatti non ha capito

Lo aveva lì da quando era solo un tredicenne. Lo ha cresciuto, lo ha educato, lo ha allenato, lo ha forgiato. Viveva con lui, mangiava con lui, sognava con lui. Ma in fondo non ha imparato a conoscerlo. Nel giorno in cui Jannik Sinner ufficializza il divorzio con il suo coach di sempre, c'è il dolore umano più che professionale di Riccardo Piatti, incapace di capire quale fosse il momento giusto per liberare quel ragazzo diventato (quasi) uomo. E incredibilmente impreparato a realizzare che delle persone puoi conquistare il cuore, ma non puoi cambiare la testa. Soprattutto quando questa pensa in grande.

L'addio di Jannik a Piatti è stato freddo, nel suo calore di facciata. Un messaggio sui social per ringraziare il suo coaching team: «Dopo tanti anni di grandi successi, abbiamo deciso di separarci. Ringrazio soprattutto Riccardo: mi ha insegnato tante cose che resteranno per sempre parte del mio tennis. Abbiamo tantissimi ricordi e ricorderò sempre con affetto il tempo passato insieme». Si volta pagina, così, con un clic.

Il tennis di alto livello non è questione di sentimenti e Sinner all'alto livello, il più alto, ci vuole giustamente arrivare. Ricomincia con Vagnozzi da Dubai, il torneo che Piatti non voleva che facesse. E poi arriverà il supercoach, probabilmente Norman, per completare il passaggio all'età adulta e fornirgli quelle armi che ha capito definitivamente di non poter avere, se non avesse cambiato qualcosa, nella sconfitta netta con Tsitsipas in Australia. Un ragionamento lucido: era il momento di spezzare il cordone ombelicale, diventato troppo stretto. E non è solo questione di soldi, anche se stiamo parlando di un ragazzo di 20 anni che già fattura 3 milioni di dollari. Ma c'è una foto sul web che mostra quel ragazzo in piena esplosione seduto a fianco a un uomo un po' scomposto e spaparanzato su una panchina. Non bisogna essere atleti per saper insegnare tennis, ma di sicuro per insegnare qualcosa a se stessi si deve riconoscere certi particolari.

Perché sennò si finisce per non conoscere davvero le persone.

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