Gatlin, anti-tutto dei Giochi che trova sempre un posto

È uno degli atleti più discussi, ma ancora protagonista Pizzicato 2 volte dall'antidoping e con l'incubo di Bolt

Gatlin, anti-tutto dei Giochi che trova sempre un posto

RIO DE JANEIRO - Justin Gatlin ha una faccia che ispira tenerezza. Perfetta per giustificare le sconfitte subite da Usain Bolt. E perfettissima per giustificarsi, lui, davanti all'antidoping che per due volte l'ha pizzicato positivo. Prima fu una anfetamina. Poi testosterone. Due anni la prima squalifica, più otto la seconda perché recidivo, fu la sentenza. Poi quel viso. Quegli occhioni smarriti e la balbuzie che ogni tanto lo acchiappa. E gli otto anni diventarono quattro. Se Alex Schwazer avesse avuto lo sguardo di Justin, l'altroieri l'azzurro sarebbe stato in gara e non su un aereo diretto in Italia. Vien da sè che avrebbe vinto la 20 chilometri di marcia e domenica prossima anche la 50.

Nelle batterie dei 100 Justin l'americano (10''01) ha fatto meglio di Bolt il giamaicano (10''07) che però qui è anche brasiliano e se corresse in un meeting da noi sarebbe italiano. Perché il mondo ama Usain. Il re della velocità è sceso in pista nella settima batteria e non pareva un atleta ma un direttore d'orchestra. Prima ha fatto segno al suo pubblico, cioè tutto, di applaudire e urlare e festeggiare, poi sui blocchi, visto che lo stadio non si acquietava, ha fatto segno opposto, dito sulla bocca e tutti zitti. Stadio ammutolito. Corsa annoiata e indolente, la sua. Giusto un'accelerata di sicurezza per mettere al sicuro la batteria e frenata. "Sono stato un po' lento, non mi piace niente alzarmi presto". Correva alle 12 e 40, non proprio all'alba. Ma al re si perdona tutto.

Gatlin, per farsi perdonare, ha invece solo gli occhioni. Perché a muscoli e talento ormai non tutti credono. Anche ieri dopo l'accesso in semifinale gli è toccato parlare di doping. "Credo al sistema antidoping, ora sono come tutti gli altri anche io. Ho pagato, sono tornato, e faccio quello che devo... tutti dovrebbero farlo". Quest'anno è stato il più veloce. In febbraio ha fermato il cronometro a 9''80 e ciò che avrebbe fatto felici altri, a lui ha creato problemi. Perché il passato è quello che è. E perché gli anni sono 34. Tanti. Alcuni sospettano troppi per giustificare simili prestazioni. Ma se c'è una dote che questo afroamericano di Brooklyn ha sviluppata più di tutti è quella di non fare attenzione a quanto dicono di lui gli altri. Da bambino gli dicevano una cosa e lui boh, bah, un attimo dopo se la scordava. Poi hanno scoperto che si trattava di un deficit dell'attenzione. Fu in quegli anni che iniziò a curarsi e la prima positività fu proprio dovuta - questa la difesa ad occhioni sgranati - a delle sostanze contenute nelle pillole che lui prendeva per curare questo difetto. Il che, associato ai suddetti occhioni da cerbiatto ferito avrebbe fatto deporre a favore di un pasticciaccio ai suoi danni. Ma lui che in fondo è un animo semplice, tempo dopo, era il 2006, metterà d'accordo tutti facendosi pizzicare con degli anabolizzanti in corpo.

Storia emblematica quella del vero rivale di Usain. E stasera, dopo l'ultima scrematura delle semifinali, ne spunteranno altri. Di rivali.

Come il connazionale di Usain, Yohan Blake, che ieri ha corso in 10''11 in totale scioltezza. O il sorprendente ivoriano Ben Youssef Meite (10''03). Hanno tutti una sola speranza: che il re pigro non si svegli, non si alzi, faccia tardi e non arrivi. Allo stadio.

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