Generazione Nadal Rafa, Fede, Stoner Quelli che si fermano

Non si può battere il vento e quando Mano di Pietra Duran lo capì disse «no mas». Non più, era il 25 novembre 1980, aveva solo 29 anni - la gioventù di un pugile - e dall'altra parte del ring l'uomo che poteva spezzare la mascella di un toro con un pugno vedeva l'ombra di Ray Sugar Leonard, il ballerino che alzava un vento pungente e insostenibile. Roberto disse «no mas», si girò e se ne andò, ma non era vero in fondo, perché poi la sua carriera si è conclusa solo nel Terzo Millennio e con la complicità di un incidente stradale. «No mas»: chissà come andò allora, se fu davvero la nausea da competizione o la combine che in molti sospettarono. Eppure è vero che ci sono momenti in cui anche chi ha la forza di abbattere un toro sente il bisogno di voltare la schiena.
Rafael Nadal, per esempio, a tennis non ha paura di niente e nessuno, eppure questa volta ha dovuto dire stop, alle Olimpiadi prima e adesso agli Us Open, perché sono le ginocchia a ribellarsi al proprietario, che a soli 26 anni rischia di non farcela davvero più. Borg, per dire, a quell'età uscì dal suo mito con la nausea addosso, lui cinguetta su twitter «sono davvero triste» per poi - ieri in conferenza stampa - spiegare: «In questo momento non mi interessa la posizione in classifica ma la salute. Non posso correre rischi, tornerò quando starò bene». Ritiro, insomma? Zio Toni - allenatore e telecomando - assicura che no, non è finita qui: «Non vi preoccupate, sta già programmando il finale di stagione e pensando a come arrivare alle Olimpiadi di Rio». Però lo stesso Toni poco tempo fa disse «Rafa non sarà mai più quello di prima» e tutto questo mentre il Divino rivale, Roger Federer, superati i 31 zampetta ancora sui campi di tutto il mondo da numero uno: «Però sono preoccupato per Rafa, deve avere qualcosa di grave. Gli scriverò per sapere come sta». Basterebbe una telefonata.
Lo sport logora chi lo fa, insomma, almeno ad alto livello funziona così, perché non tutti sono Javier Zanetti o Luigi Mastrangelo e nessuno può più festeggiare un titolo mondiale a 40 come fu per Dino Zoff. Un tempo bastava un legamento per far saltare anche una carriera e Francesco Rocca, il mitico Kawasaki della Roma, ne sa qualcosa, lui fermato a 27 anni da un incidente che oggi sarebbe superabile in pochi mesi. Ma in realtà il vero infortunio moderno colpisce molto più in su, nella testa, svuotata da mille battaglie e da troppi pensieri. Certo, magari Federica Pellegrini poteva fare a meno di discutere in ogni dove sui massimi sistemi del sesso con il suo Magnini proprio alla vigilia dei Giochi, e chissà se davvero il sito Dagospia colpisce nel segno insinuando chissacché. Fatto sta che Londra è stata un disastro e per una che campionessa è di sicuro, a 24 anni arriva il momento di dire basta, almeno per una stagione: «Voglio godermi le piccole cose della vita». Lo disse in fondo anche Tracy Austin, la prima bambina del tennis che a 14 anni e 28 giorni aveva già vinto un torneo professionistico e a 21 decise che per la sua schiena era già troppo: «Ho imparato ad apprezzare la vita: mi godo il mio giardino e i miei figli, non so resistere sia agli uni che agli altri. Tanto che quando vedo dei fiori in un negozio devo assolutamente comprarli e ai miei figli dico sempre: questi sono gli ultimi, giuro...».
Storie di tennis e di sport: Tracy oggi fa per hobby la commentatrice tv e si diverte, mentre Andrea Jaeger - che a 18 anni mise fuori dalla sua vita il padre padrone e le racchette dopo essere stata numero due del circuito e in finale a Wimbledon - adesso è diventata suora, «perché per avere successo nello sport bisogna essere egoisti, mentre io ho sempre voluto far qualcosa per aiutare gli altri». Sarà per questo allora che Casey Stoner ha deciso di appendere la motocicletta in garage arrivato a quota 26 per dedicarsi a moglie e figlia mentre il suo acerrimo (e più anziano) rivale Valentino Rossi cerca ancora lampi di gloria con un ritorno in Yamaha. Ed è per questo che Davide Federici, (ex) difensore del Frosinone, 24 anni, davanti a un grave problema alla schiena ha deciso di non nascondere a se stesso che il danno fosse davvero più serio: «In un calcio pieno di ipocrisia, io ho deciso di fare la cosa più onesta: rescindere il mio contratto e ritirarmi. Non sono al mondo per rubare lo stipendio». Lui come il coetaneo Javi Poves, giocatore dello Sporting Gijon nella Liga, vittima del logorìo interiore di un vero rivoluzionario: «Il calcio fa schifo, è in mano a capitalisti che sfruttano interi popoli.

Io non voglio guadagnare soldi sulle sofferenze degli altri per cui me ne vado: spero che brucino tutti. Così come vorrei che bruciassero tutte le banche del mondo». In questo caso però Poves è davvero a un punto di non ritorno: sarebbe praticamente come battere il vento. Ed è più facile che ci riesca Nadal.

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