Ha sbagliato ma lasciatelo vivere E se avesse preso un taxi...

Normale essere stufi di una disciplina massacrante e poco spettacolare. Per cambiare vita però non serviva doparsi. E adesso non linciatelo

Ha sbagliato ma lasciatelo vivere E se avesse preso un taxi...

Un atleta che alla vigilia di una gara olimpica si rivela dopa­to è una tragedia? Sì, per lui lo è, ma non per l’umanità e nemmeno per lo sport, che è pieno di gente dro­gata, che viene scoperta (talvolta), squalificata per un anno, due o tre, e amen. Non è una novità: il mondo è imperfetto e la vita- per tutti- è un ro­sario di guai ed errori. L’errore di Alex Schwazer è grave, ma non è il ca­so di ingigantirlo. Conviene riporta­re un commento divertente, firmato Marco Salvati e ricavato da Twitter: «Il primo italiano nella storia ad ammettere di aver sbagliato è un tedesco».

È una battuta, fa sorridere e ridimensiona in modo efficace l’accaduto. La conferenza stam­pa televisiva di Schwazer ha mostrato a lungo un ragazzo distrutto eppure coraggioso nel con­fessare il suo peccato. Non so se abbia detto tut­to o se abbia omesso qualche particolare allo scopo di proteggere qualcuno. Dettagli. Ciò che sorprende è la sua ingenuità, la stessa di chiun­que assuma sostanze per rendere di più nella propria disciplina.È noto.Non si sfugge all’anti­doping: esami delle urine e del sangue, da cui ri­sulta anche il consumo di un’aspirina, figuria­moci se passa in cavalleria la «bomba».
Benché i controlli siano appunto rigorosi,c’è sempre chi ci casca come un pollo. Salvo poi di­sperarsi e piangere, pentirsi e battersi il petto, come ha fatto il marciatore, suscitando nel pub­blico sentimenti contrastanti: pena, rabbia, compassione, riprovazione. Ciascuno ha la pro­pria sensibilità e ogni reazione è giustificata, purché rimanga entro certi limiti. In fondo non è morto nessuno. Qui siamo di fronte a un giova­ne carabiniere
che, in un momento di debolez­za, si è comportato da sciocco, illudendosi di far­la franca.

La domanda che molti si pongono è questa: che gli è saltato in testa? Lui ha cercato di fornire spiegazioni, ma non è stato convincente. D’al­tronde, capita a tutti di commettere una stupi­daggine e di non riuscire a capacitarsene. Vale la pena di ricordare un vecchio detto volgarot­to, però sensato: «L’ora del coglione piglia tutti almeno una volta al dì».L’ora di Alex non è dura­ta 60 minuti, bensì alcune settimane, visto che, per realizzare il suo insano progetto, l’olimpio­nico si è recato addirittura in Turchia; quindi avrebbe avuto il tempo per riflettere e fare mac­china indietro. Sorvoliamo. Piuttosto mi sia con­cessa una chiosa. Il podismo è probabilmente la disciplina più noiosa, monotona e debilitan­te. Provate voi a percorrere 50 chilometri a piedi - al passo - e poi ditemi quale soddisfazione ne avrete tratto. Neanche mezza. Solamente spos­satezza, dolore alle giunture e ai muscoli.

Parliamo di uno sport, inoltre, per nulla spet­tacolare. Non ho mai conosciuto uno pronto a fare follie per assistere alla marcia. Gli atleti del­la specialità camminano alla svelta, ma non di­versamente da pedoni qualsiasi. Nessuno -Olimpiadi a parte- seguirebbe in tivù una com­petizione fra persone sgambettanti: non esiste niente di meno eccitante. E se non si sollazza lo spettatore della marcia, figuriamoci quanto se la spassi il povero marciatore costretto a scarpi­nare per 50 chilometri: ovvio che gli venga una voglia incontenibile di drogarsi, almeno si di­strae un po’. Nei suoi panni, oltre a farmi un pa­io di pere, non resisterei alla tentazione di chia­mare un taxi.

Ecco perché ho comprensione, perfino sim­patia, per lo sfigatissimo Schwazer quando dice che aveva le palle e i piedi gonfi, ed era stanco di sacrificare la propria giovinezza, le proprie ener­gie, sgambando dalla mattina alla sera onde ag­giudicarsi, nella rara eventualità di una vittoria, una medaglia o una coppa, una pacca sulla spal­la e zero euro, escludendo la paga di carabinie­re. Tanto più che in altri sport gli sforzi sono lau­tamente ricompensati. Cosicché è normale che Alex ambisse a piantarla lì con la marcia e a dedi­carsi ad attività più riposanti, magari un impie­go in banca o roba del genere.

Nessuno gli avrebbe impedito di ritirarsi evi­tando la gogna del doping, questo è sicuro. Oc­corre tuttavia aggiungere che quando sei «pri­gioniero » dello sport, praticato ad alto livello, è facile dire«taglio la corda»,ma è difficile coglie­re l’attimo giusto per farlo. Il marciatore sudtiro­lese aveva poi un freno psicologico: la fidanza­ta, Carolina Kostner, campionessa mondiale di pattinaggio. Uscendo dalla mischia, lui temeva di deluderla e ha preferito rimandare sine die l’addio alle massacranti camminate.

Mi rendo conto, sono chiacchiere. In queste circostanze si procede a tentoni. E forse la verità è molto semplice: Alex era scoppiato, ma non si rassegnava a prenderne atto: e, probabilmente, per superare la crisi ha imboccato la scorciatoia delle sostanze proibite, tanto diffuse nel cicli­smo e nell’atletica. Solo nelle discipline miliar­darie scarseggiano o mancano organizzazioni repressive.Nel calcio,l’antidoping è una barzel­letta. Idem nel motociclismo e nella Formula 1. E si tratta soltanto di esempi.

Dove girano soldi a palate, gli scandali muoiono nella culla; vicever­sa esplodono e fanno rumore negli sport senza portafogli (ricchi esclusivamente di sudore), scatenando la retorica dei peggiori moralisti.
Caro Alex, manda tutti al diavolo. Cessa di marciare e sali in taxi: la prima corsa, se me lo consenti, te la offro io.

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