RIO DE JANEIRO - "Il mondo è una valle di lacrime, anche per quelli che sperano tanto in esso". Non bisogna per forza essere come Salomone o credere nelle parole della Bibbia per accorgersi che le Olimpiadi sono qualcosa di molto terreno. Sono lacrime, quelle di Federica, di Arianna, di Tania ma anche quelle Yulia, Fabian, Novak. Gioie e dolori che si mischiano, malinconia ed esaltazione che si susseguono nell'animo di un evento che nessuno atleta può forse spiegare fino in fondo. Spiegare quelle lacrime che arrivano all'improvviso e che rende questa valle terrena così molto umana.
Lacrime ingoiate avanti a tutti, o magari arrivate prima e dopo come quelle della Pellegrini per una delusione che brucia, la somma di quattro anni di sacrifici scomparsi in un attimo. Oppure quelle della Cagnotto, di rabbia a Londra 2012, di estasi a Rio, perché aver sognato notte dopo notte quell'argento finito al collo suo e dell'amica Dellapè ha finalmente un perché: "Così soffrire ha avuto un senso". La sofferenza è missione, la gioia il suo traguardo, il dolore la sua punizione. E fa male.
Per questo ha pianto, pianto tanto Djokovic "per aver deluso il mio popolo"; ha pianto Serena, affondata dall'ansia e dal dolore; ha pianto Guendalina, una delle ragazze dell'arco, e non certo per un titolo di giornale stonato, ma per quella medaglia di legno che lascia addosso un senso d'incompiuto; e ancora ha pianto Yulia, Yulia Efimova, ripudiata dal nuoto e dal pubblico per quel suo secondo posto nato da un imbroglio che nessuno vuole dimenticare; però ha pianto Fabian, che ha salutato tutto il suo pianeta a due ruote con l'impresa più bella. Indimenticabile. E ha pianto sul podio Ryan Held, medaglia d'oro nella 4x100 stile libero, mentre accanto a lui il compagno fenomeno Phelps lo coccolava, lo coccolava ridendo. Storie, che si succedono giorno dopo giorno in un'Olimpiade che non è solo sport: è vita. Fotografie, a volte fitte nel cuore, a volte esplosioni di assoluto, di un secondo, di un attimo che certe volte diventa eternità.
Si piange insomma per diventare in qualche modo eroi. Come Rafaela, l'oro del Brasile e delle favelas, e Majlinda, la prima volta del Kosovo sul gradino più alto del podio. Unite dalle lacrime e da qualcosa di eccezionale. E poi ci sono le favole, bagnate dall'emozione per chi si è davvero giocato tutto. Andreas Toba per dire: lui è qui in Brasile come ginnasta e ha immolato un ginocchio per l'onore della squadra. Era l'ultimo in pedana, servivano i suoi punti per la qualificazione, e nonostante i dolori non ha esitato. L'esercizio, il crac, il legamento crociato che si rompe: ma la Germania va in finale e le sue lacrime sono quelle di chi ha vinto comunque. Come pure le lacrime di Ashley McKenzie, judoka inglese che appena eliminato si è rifugiato nel tunnel della arena dietro due bidoni della spazzatura per crollare a terra nello sconforto più assoluto. Voleva stare solo, è finito immortalato su twitter: ma questo è proprio il senso di una Valle di lacrime ai giorni d'oggi.
E insomma è giusto così: quelle di Federica Pellegrini e Arianna Errigo - struggenti
e malinconiche - non saranno certo le ultime di questi Giochi e di quelli che verranno. Anche se, pensandoci, qualcuno ha detto che quando piove è perché anche Dio sta piangendo. E ieri a Rio, per la prima volta pioveva.
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