I piloti passano, la Rossa resta Meglio che resti anche Alonso

I piloti passano, la Rossa resta Meglio che resti anche Alonso

La Ferrari resta, i piloti passano. Questo ripete il presidente Montezemolo e così diceva il Drake. Stavolta è però meglio il contrario: che cambi la Rossa e si convinca Alonso a restare a lungo. Anche se la F14T non è quella che avrebbe voluto lui. Anche se si è sentito tradito. Anche se Domenicali che l'aveva cercato e convinto non c'è più. Perché le sirene McLaren-Honda potrebbero davvero incantarlo per il 2015. E perché se il dominio Mercedes, leggermente ridimensionato, e lo stradominio Hamilton, decisamente cresciuto, dicono che la monoposto tedesca su una pista da minori consumi come quella cinese è meno stellare e l'inglese è il più pilota di tutti (terza vittoria di fila), il Cavallino ferito che si rialza sul podio di Shanghai dice, anzi urla tre cose. La prima: il fattore Fernando è basilare. Tanto più in questo momento confuso nel mezzo del cambio di gestione, di metodi, probabilmente di persone seguito alle dimissioni di Domenicali e all'arrivo del nuovo team principal, Marco Mattiacci. Perché lo spagnolo che aveva allontanato da sé gli uomini di rosso vestiti con l'uno-due estivo, cioè prima quel «vorrei per regalo un'altra macchina» ringhiato a Budapest e poi quel «ma siete dei scemi...» via radio al team, ecco, quel fuoriclasse nel mezzo di questo caos ha dimostrato con gare perfette di tenere in sella da solo l'intero team e di poter essere perno fondamentale. Soprattutto per Mattiacci, digiuno di F1 ma ben nutrito - curriculum docet - in quanto a saper scegliere uomini. Un pilota come lo spagnolo, che ha bisogno di sentirsi non importante ma di più per dare il massimo, potrebbe trovare in questo cambio in corsa la centralità fin qui chiesta e non ricevuta.
Il secondo verdetto scolpito dal terzo posto di Shanghai dice che il Fattore “C...”, nel senso di fortuna e annessi e connessi, resta elemento imprescindibile. Mattiacci arriva e la Ferrari comunque sferzata fin da dopo l'avvio australiano dal dimissionato Domenicali comincia a vedere la luce in fondo al tunnel e va subito a podio. Motore meno imbrigliato, meno paura dei consumi, benzina evoluta, meno ossessione affidabilità, più velocità, più prestazioni, più tutto insomma. «Questa è la Ferrari, ora dobbiamo dare continuità» il commento a caldo del nuovo team principal seguito dalla dedica di Alonso a Domenicali «è per Stefano, perché tutto quello che si farà fino a luglio è anche frutto del suo lavoro».
Il terzo messaggio cinese è trasversale. Non riguarda solo la Ferrari. Dice che la F1 turbo-ibrida non è per tutti. Almeno all'inizio. Ci sono i ragazzi terribili cresciuti a pane e playstation che con i bottoncini ci vanno a nozze (vedi Kvyat a punti) e ci sono i campioni per i quali i bottoni restano soprattutto quelli delle camicie ma che nonostante questo capiscono al volo le novità: cioè Alonso, cioè Hamilton, cioè Rosberg benché reduce da un grigio secondo posto. Poi ci sono gli altri: come Vettel, che campione resta, ma da 4 Gp vive umiliato e confuso da un tipo di motore e messa a punto e gestione gara che gli hanno tolto gioia, equilibrio, cominciando perfino a erodergli l'autostima. Parla per lui quel s'arrangi via radio, quando il team gli chiedeva per l'ennesima volta (era successo anche in Bahrein) di far passare Ricciardo. Anche se poi, in ritardo, ha ceduto posizione, «quando ho capito che eravamo su strategie diverse...» dirà nel dopo gara intriso di versioni diplomatiche da parte di team («non ci eravamo compresi») e pilota. Tutti hanno però compreso che Ricciardo, 4°, fa paura e gli fa paura, che Ricciardo ride sempre, che Ricciardo sferza col sorriso quando commenta «è naturale che il compagno sia il punto di riferimento e adesso lui si impegnerà di più rispetto a prima per colmare il divario...». Capite l'enormità nascosta fra le parole del ragazzotto che più o meno dice a un quattro volte di fila iridato ti tocca impegnarti di più per starmi davanti. Passare da Vettel a Raikkonen, l'altro grande deluso, è un attimo. Vero che ha recuperato tre posizioni rispetto alla griglia, ma vero anche che la sua gara è stata l'anonima corsa di un comprimario alle prese con la gestione delle gomme anteriori che non riusciva a preservare. «Credo che le difficoltà siano dipese da una combinazione di diversi fattori, dal mio stile di guida al freddo alle caratteristiche del tracciato» ha detto. Ma è quel che pensa a preoccupare.

A Maranello non si sono ancora scordati del fratello di Kimi - così scherzò Montezemolo commentando le sue scarse prestazioni -, quello senza velocità e talento che all'improvviso, nel 2009, aveva preso il posto di Kimi.

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