Una, dieci, cento volte ha utilizzato lo stesso verbo: aiutare. Aiutare il Milan, aiutare i giocatori del Milan, aiutare l'allenatore del Milan, per rendere felici «i tifosi del Milan». Ecco come si è presentato l'ultimo Zlatan Ibrahimovic, alla bella età di 38 anni suonati, in piena forma e maturità, senza mai rinunciare al suo format che è pieno di fede, di passione e di coraggio leonino nel lanciare sfide che sembrano impossibili. «Sono pronto e voglio giocare subito» lunedì con la Samp, è stata la prima notizia passata ai giornalisti arrivati anche dall'estero per raccontare l'evento che non è soltanto milanista ma riguarda il calcio italiano dove, forse, da oggi potremo disporre di un'altra storia incredibile. «Mi ha chiamato prima Maldini, dopo l'Atalanta ho ricevuto tante chiamate. Cercavo adrenalina per accettare questa sfida e l'ho trovata. O hai adrenalina altrimenti a 38 anni, dopo un mese, stacchi la spina» è stata la spiegazione semplice di una scelta che ha fatto e continuerà a far discutere. D'altro canto, uno come Ibra non ha bisogno d'inventare favole. «Ho deciso di tornare da dove non me ne sarei andato prima perché non ho perso la passione»: eccola qui, addizionata, come in una miscela, alla consapevolezza che «il Milan è sempre il Milan, la storia non cambia», anche se adesso è caduto in basso. A convincerlo, la corte di quei due, Boban e Maldini, «due leggende, anche se avrei preferito averle in campo con me» il rimpianto, l'unico di tutto il mattino.
Anche sul suo conto, Zlatan è stato spietato dopo aver corretto la contabilità dei gol segnati, «sono più di 500». «So che non sono lo stesso di quando avevo 28 anni. Cambia l'età, cambia il fisico, migliorano la testa, la fiducia. Devi essere intelligente e non esagerare, ma puoi tirare da 40 metri» la formula escogitata per questo ritorno deciso per sentire «il profumo dell'erba» e magari «85mila che mi fischiano prima e mi applaudono alla fine». Non ha pretese per il futuro, «non sono qui a fare la mascotte» ha ripetuto. Perciò ha deciso di firmare un contratto di 6 mesi. «Poi vedremo se continuare oppure no. Inizio da zero, come gli altri. Devo dimostrare, per me stesso, che sono all'altezza». Lui, Ibrahimovic, sa cosa può dare al Milan. Da oggi spiegherà a Pioli cosa il Milan deve dare a lui. Deve portargli la palla lassù, non possono chiedergli di fare tutto da solo, «altrimenti avrei scelto un altro sport». E a chi gli rammenta il record di Nocerino, goleador come mai più gli è riuscito nella sua carriera, la risposta è di quelle secche: «Lui è stato molto bene con me». Perciò a Milanello devono prepararsi. Non è arrivato uno specialissimo aiuto. «Sarò molto più cattivo con loro» ha promesso. «Sanno come mi alleno, devono imparare a soffrire perché chi non sa soffrire non va d'accordo con me» è il dogma. Lacrime e sangue la promessa. Ha visto qualcosa del Milan più recente in tv, poco per dare un giudizio, o forse molto per renderlo pubblico. «Il gruppo ha qualità per fare meglio, non basterà una partita a cambiare il corso, bisogna prepararsi a una maratona» l'ammonimento. Non c'era Gazidis, l'ad, non c'era Scaroni, il presidente, i rappresentanti in quota Elliott. C'era Boban che alla fine ha inchiodato tutti alle proprie responsabilità. Ha scolpito un paio di frasi da incorniciare.
«Siamo orgogliosi dell'arrivo di Ibra, che è unico, e convinti dell'effetto positivo che potrà avere su squadra e ambiente ma non vorrei dimenticare Bergamo. Nessuno si deve nascondere dietro le spalle larghe di Zlatan» ha scandito il cfo rossonero perché le parole arrivassero anche a Milanello.
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