"Impedire a un atleta pulito di correre per il suo Paese è una sconfitta per tutti"

La lunghista fu l'unica russa ai Giochi di Rio: "Insultata dalla mia gente... Ora sono più forte"

"Impedire a un atleta pulito di correre per il suo Paese è una sconfitta per tutti"

In quella calda serata d'estate del 17 agosto 2016, allo Stadio Nilton Santos di Rio un atleta giamaicano e un'atleta russa interpretavano due facce diverse dello stesso sport. Di qua il sorriso di Usain Bolt, strepitoso nel suo 1978 della semifinale dei 200 metri, in una spensierata e gioiosa serenità, di chi gode di una gioia piena nel fare quello che si ama. Di là, a qualche metro di distanza, l'amarezza nelle labbra serrate della bella e dannata Darya Klishina, sconvolta per un misero nono posto olimpico che non le appartiene, col suo sguardo fragile e fisso nel vuoto, annebbiato dalla moltitudine di pensieri cupi. Ci sta, lo sport è anche questo: vincere o perdere, eccitazione o depressione. Ma la realtà, triste, di quel 17 di agosto era un'altra. E cioè che lei, Darya, era da sola. Un corpo estraneo, assente, in mezzo alla pista mentre più in là Usain Bolt catturava l'attenzione. Lui felice e lei sola nel suo essere triste. Ed anche sola e unica atleta russa a gareggiare alle Olimpiadi. Detestata dai suoi stessi connazionali, solo perché dal 2013 si allena in Florida e dunque in casa dei nemici storici, gli Stati Uniti, Darya racconta al Giornale il dramma sportivo vissuto sulla propria pelle, nella speranza che non accada più. La decisione della Wada, che chiede 4 anni di stop per la Russia, è attesa domani. «Non vorrei che la situazione di Rio si ripetesse anche a Tokyo ha detto di recente all'agenzia Tass -, ma le premesse non sono delle migliori. Le previsioni, a quanto dicono, sono pessimistiche. Comunque spero che a tutti gli atleti puliti venga data la possibilità di competere a Tokyo sotto la bandiera russa».

Darya, cosa ha significato per lei essere l'unica atleta a «gareggiare» per il suo Paese?

«È stata una grossa responsabilità. Rappresentare a Rio un Paese come la Russia da sola è stato oltremodo difficile. Come lo è stato far fronte a tutte le vicissitudini che mi hanno travolto prima della mia finale del salto in lungo. In quelle condizioni mentali, era praticamente impossibile fare risultato. Ero pronta per vincere, ma poi è scoppiato il caos. Per poter vincere, devi entrare nello stadio con emozioni speciali delle quali sono stata privata».

Cosa le ha impedito di prendere una medaglia a Rio?

«Fino all'ultimo non sapevo se avrei gareggiato. Poi, il giorno prima delle qualifiche, hanno chiamato il mio allenatore alle 4 del mattino, dicendo che avrei potuto gareggiare da russa. Una situazione surreale. Ho accumulato così tanto stress che non riuscivo a dormire. Il mio sogno olimpico si è trasformato in un incubo».

È vero che ha ricevuto insulti persino dalla sua gente?

«Sì. È girata una voce che avrei gareggiato come atleta neutrale, sotto la bandiera del Cio. La mia gente ci ha creduto e mi ha marchiata come traditrice e una nemica del popolo». A dire il vero qualcuno l'ha definita nazista.

L'anno seguente, ai Mondiali di Londra del 2017, riscattò Rio e riuscì a mettere al collo la medaglia d'argento.

«Adesso capisco quell'esperienza mi ha reso più forte, soprattutto dal punto di vista psicologico. Altrimenti non sarei stata in grado di esprimere il mio potenziale a Londra».

Da neutrale non poté festeggiare sul podio con la bandiera del suo Paese.

«Questo non è stato affatto piacevole. Da atleta, sono irritata e dispiaciuta del fatto che non possiamo e non abbiamo potuto godere appieno di certe esperienze, per non parlare delle emozioni positive di alcune vittorie».

Come reagisce sui social ai giudizi negativi della gente?

«Dopo l'esperienza di Rio, cerco oramai di non leggere i commenti della gente, così da risparmiarmi situazioni spiacevoli».

Un fisico statuario e da modella, il suo. Come combina bellezza e ottimi risultati nello sport?

«Innanzitutto, sono una giovane donna, e solo dopo un'atleta. Voglio apparire al meglio dentro e fuori dallo stadio. È ovvio che non ho molto tempo per sfilate o altro; ma mi piace trovare del tempo per me stessa».

Qual è il suo rapporto con l'Italia?

«La adoro, soprattutto Roma. Sono stata in Italia almeno dieci volte. Mi sono allenata diversi anni in un gruppo con Libania Grenot, Gloria Hooper e Davide Re, conosco anche Fabrizio Donato e Maria Benedicta Chigbolu».

Siamo nella stagione olimpica. Obiettivi?

«Mi

sento bene, ho recuperato dall'infortunio che mi ha tenuto fuori per i mondiali di Doha. Cerco di non pensare a quello che sarebbe successo se fosse andato tutto per il verso giusto. Ora sono già concentrata per il Giappone».

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