C'è qualcosa di ferrarista nel podio dell'emirato. E non è solo Alonso, non è solo la Rossa. Non è solo la loro commovente e disperata volontà di mantenere accese le speranze mondiali. C'è qualcosa di ferrarista nella vittoria. Qualcosa che tocca presente e passato e che fa avanti e indietro nel tempo. Qualcosa che sa di corse e storia e si chiama Raikkonen, si chiama Kimi, gelido 33enne figlio del nordico mondo finnico tornato alla vittoria da ex del Cavallino, da ultimo campione del mondo in sella al Cavallino, anno 2007, in fondo ieri, in fondo una vita fa.
Nel giorno in cui Bruno Senna nipote di Ayrton rinuncia ai colori verde oro del mitico casco dello zio per una questione di sponsor, in questo giorno Raikkonen che non gliene frega nulla di niente e nessuno, tanto meno dei grandi ex della F1, riporta alla vittoria un marchio che non stava così in alto dal Gp Usa del 1987 con Senna, Senna Ayrton, mica parenti sbiaditi. In questo giorno Kimi che non sorrideva prima, non sorride adesso davanti al pubblico e non sorriderà poi, Kimi fa sorridere gli altri. Perché non parlando e non arrabbiandosi mai e non ridendo mai e non sfottendo mai, alla fine Kimi non ha nemici e tutti lo applaudono e gli danno pacche sulle spalle. A lui che come tutti i finnici le odia le pacche. Lui che a conferma della sua insofferenza a fama e celebrità e applausi sul podio dirà solo: «Cosa provo dopo la vittoria? Non molto in realtà. In passato dicevano che non sorridevo e adesso faccio lo stesso errore».
Sincero. Stringato. Anche stavolta. Poteva sorridere e non l'ha fatto, poteva cincischiare e invece ha ammesso che trattasi di errore il suo non proferir parola. Sa che un po' gli è costato il primo addio alla F1. Non era personaggio. E poi che cosa diavolo dovrebbe provare un pilota esonerato dalla Ferrari (e come un allenatore pagato fino a scadenza) per far posto ad Alonso? Un pilota che per due anni ha fatto il rallysta e che poi torna con un team buono ma non ottimo e, unico fra i primi sei del mondiale, conclude le corse sempre a punti eccetto una volta, in Cina, dove chiude 14°? Che cosa dovrebbe provare un uomo che è tutto e il contrario di tutto? Un giorno, era il 2003, di lui sir Frank Williams disse che era «un dono del cielo fatto dal Dio dei motori perché poche volte in F1 ti accorgi che arriva un pilota che ha doti uniche. Era successo con Senna è risuccesso con Kimi». E poi, anni dopo, era il 2008, sempre Sir Frank, in fondo dando voce a quello che tutto il Circus pensava, corresse il tiro dicendo «a volte dal cielo arrivano piloti con una marcia in più, ma se poi questi si perdono e sprecano il loro talento...». Elegante riferimento agli eccessi di questo ragazzo, eccessi tutti alla voce molto finnica di una bevuta in più del lecito, di un allegria serale un filo alcolica che team e ambiente non gli hanno mai perdonato. Amore del brindisi che pare sia ormai cosa passata.
E poi e su tutto, che cosa dovrebbe provare un pilota che vince nella stagione del rientro, che fino a ieri era rimasto in lotta per il titolo? Un pilota che quando debuttò aveva alle spalle solo 23 gare in monoposto minori e ci volle un ok speciale della Fia, previo consenso dei colleghi piloti. Un pilota che pronti e via andò subito a punti. Senza un sorriso. Ma con molti brindisi.
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