Il racconto dell'ex arbitro: "Noi stanchi e pressati: ecco ​perché possiamo sbagliare"

Luca Marelli, ex arbitro di Serie A e tra i più autorevoli opinionisti sportivi sui social, ha raccontato un aneddoto sulla sua carriera. "Una volta mi toccarono due partite in tre giorni, ero distrutto: andai bene grazie a fiducia e motivazioni"

 Il racconto dell'ex arbitro: "Noi stanchi e pressati: ecco ​perché possiamo sbagliare"

L'arbitro di calcio è il capro espiatorio per antonomasia, facile bersaglio dell'ira dei tifosi per una decisione discutibile. Il mondo dell'Aia - Associazione italiana arbitri - è da sempre un muro di gomma su cui tutto rimbalza e da cui niente esce, neppure per spiegare il motivo di un fuorigioco millimetrico sbandierato o un calcio di rigore dubbio accordato. Qualcosa, però, si muove. Merito di Luca Marelli, ex fischietto di Serie A e oggi opinionista calcistico, il più seguito sui social per quanto riguarda tutto ciò che ha a che fare con la moviola delle partite. La ricetta di Marelli, da sempre, è la stessa: niente polemiche e mera analisi dei fatti.

Ciò che Marelli prova a far capire ai tifosi italiani è che gli arbitri non sono robot, ma "esseri umani che possono sbagliare" perché stanchi e pressati, autori di valutazioni soggettive e per questo discutibili, anche perché sono molti gli episodi in campo sul cui giudizio pende un margine di discrezionalità. "Per arbitrare bene ci vogliono fiducia e motivazioni, serenità e certezza delle proprie capacità", il commento di Marelli dopo avere raccontato un divertente aneddoto sulla sua carriera. In cui c'entrano stanchezza e bottiglie di birra. "Era un lunedì mattina, dopo la solita domenica chiusa alle 3 del mattino, con l'abituale insonnia successiva ad una partita di campionato, mi trovavo in ufficio cercando di tenere gli occhi aperti. All'improvviso mi sveglia letteralmente lo squillo del telefono". Era Nicola Rizzoli, oggi designatore degli arbitri di Serie A e ai tempi il migliore fischietto del mondo.

"Cerco di rendere la voce presentabile per non apparire del tutto rincoglionito. Rispondo con la voce più allegra possibile, apparendo come un rincoglionito ubriaco". Rizzoli gli dà appuntamento alle 13 a Malpensa per pranzare insieme. Subito Marelli non capisce, poi comincia a connettere e decide di raggiungerlo. "Dai, se parti adesso arriviamo assieme a mezzogiorno e mezzo", gli dice Rizzoli. "Praticamente ero in ufficio con un aereo in partenza alle 15 di quel pomeriggio, senza aver nemmeno preparato il trolley, lontano mezz'ora di strada da casa e con la prospettiva di dover partire due giorni prima. Insomma, un gran casino", scrive Marelli, contattato da Rizzoli per fargli da quarto uomo martedì sera a Berlino per la partita di Europa League tra Hertha-Galatasaray.

"Sono uscito dall'ufficio di corsa, ho mandato all'aria tutta l'agenda, ho violato tutto il violabile del codice della strada, mi sono precipitato in casa, ho preparato la borsa in cinque minuti cinque, mi sono infilato vestito d'ordinanza, cambiato cravatta mentre guidavo con quattro sigarette in bocca per il nervosismo, ho imboccato l'autostrada percorrendo le curve che Colin McRae spostati, ho raggiunto la velocità del suono all'altezza dello svincolo di Origgio, ho lasciato l'auto nel parcheggio più caro dell'emisfero settentrionale, sono arrivato in aeroporto con qualche minuto di ritardo. 'Eccomi, Nicola: non vedevo l'ora di partire!'".

Ma la parte più divertente del racconto è un'altra: "L'esperienza berlinese fu meravigliosa: una città bellissima, una serata in compagnia di Hugh Dallas che, dopo aver provato tutte le birre tedesche esistenti, era più lucido di me dopo la seconda bottiglietta di Corona, una nevicata leggera con una temperatura ideale per l'ibernazione naturale, una nottata passata per le vie di Berlino, un albergo favoloso sulla riva della Sprea (sì, il fiume di Berlino si chiama Sprea), una partita assurda in uno stadio meraviglioso tra la compostezza tedesca e gli schiamazzi dei turchi, tornando a casa il giorno in cui pensavo di dover partire".

Un racconto che rompe la tradizionale omertà del mondo arbitrale. E che rende gli arbitri un po' più umani. Non Robocop infallibili, ma persone che sacrificano parte della loro vita lavorativa e familiare per entrare a far parte del gioco più bello del mondo, come lo definiva Gianni Brera.

Questa la riflessione finale di Marelli: "Il messaggio di questo post quale sarebbe? Non so, ma ora sapete perché spesso parlo di motivazioni e fiducia come base per arbitrare bene, sereni, con certezza delle proprie capacità...".

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