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Mago Isco e fantasma Verratti, le due facce di una corrida

Il nuovo fenomeno del Real ha imparato da grandi maestri, il piccolo emigrante azzurro resta incompiuto

Mago Isco e fantasma Verratti, le due facce di una corrida

Francisco Roman Alarcon Suarez. Lo chiamano Isco perché è un mago, per gli spagnoli magisco. Fa le cose che sa e deve fare un centrocampista di genio e di creatività, con la fortuna di vivere a Madrid e di giocare con il Real, avendo come maestri docenti gente come Modric e Ronaldo e come primario Zinedine Zidane. Isco ha ventiquattro anni, quasi la stessa età di Marco Verratti, che non ha soprannomi particolari, vive a Parigi e gioca nel Paris Saint Germain non avendo imparato nulla o poco dai suoi sodali, potrei dire Ibrahimovic ex collega.

Verratti è il tipico prodotto del mercato nostrano, una sovraesposizione, la fuga in avanti, il sogno di essere un replicante di Pirlo o Del Piero o Totti. Verratti non è nulla di questi, è una premessa, una promessa, è un miraggio di campione, è un giocatore piccolo, non tanto di statura, ma di personalità, di carattere, di fame. Ma è grande di fama. Al Bernabeu avrebbe avuto l'occasione d'oro per smentire quei perfidi parigini che di lui dicono e scrivono di ogni: è un frignone, è un lamentoso, è petulante, picchia ma appena viene sfiorato crolla a terra come corpo morto cade. Dice, radio mercato, che sia il desiderio dei grandissimi clubs, in verità ha trovato la pace del vivere sotto la tour Eiffel, adesso ancora di più con l'arrivo di Neymar e di Mbappé che insieme sono stati valutati, anche se non ancora pagati, 400 milioni. Verratti al Bernabeu era un nano nel paese dei giganti, scomparso nel girotondo degli spagnoli. Qualcuno avrà infine capito perché li chiamano furie rosse, gente da corrida, capace di molestarti e poi di ucciderti.

Isco è un andaluso di arte, ha la passione dei cani, un po' strambo nei nomi dei segugi, uno lo ha chiamato Messi, l'altro Figo, gente di censo, roba buona. Ha fatto la riserva silenziosa a Madrid, ha imparato, è diventato l'idolo del Bernabeu che, abituato a caviale e champagne, ha capito subito di avere a che fare con un calciatore vero. Di contro, Verratti, figlio del Pescara di Zeman, insieme con Immobile e Insigne, si è fermato prima di partire. Quando è emigrato a Parigi sembrava destinato a diventare il futuro del calcio italiano all'estero. In verità si è fatto notare e ricordare più per fatti di piccola cronaca che di grande football. Capita a chi, guardando il caleidoscopio, ritiene di avere di fronte il firmamento, tutto l'universo, le stelle, la luna e il sole. Verratti è un buon calciatore, non è il caso di infierire ma è anche l'immagine del nostro sistema che vive di sogni, di progetti, di speranze ma che, al momento del conto, non ha i soldi necessari per saldare la notula. L'alternativa al ragazzo è Montolivo, in seconda battuta Parolo. Meglio non andare oltre. Peccato. Era un'occasione, sessantotto anni dopo quella notte magica di Madrid, quando i ragazzi di Novo andarono a vincere al Chamartin. Trascorso più di mezzo secolo il sogno è rimaste tale e quale. Nessuna nuova da Madrid, anzi tutto come prima, più di prima. Andremo ai play off. Forse andremo in Russia.

Ma, per favore, con la cabeza bassa.

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