Milan, altro che Champions. Meglio guardarsi le spalle

Sei partite perse su undici: mai successo nel dopoguerra. Per non rischiare servono rinforzi. Cassano "vota" Ibra

Milan, altro che Champions. Meglio guardarsi le spalle

Precedenza ai numeri: nel calcio, come nella vita, sono spietati. Le sei sconfitte, corredate dall'undicesimo posto in classifica, collezionate nelle prime undici giornate sono un record negativo storico: non era mai successo nel dopoguerra. Il paragone con la precedente stagione, durante la quale Rino Gattuso è stato torturato da tifosi («gioca male») e dirigenti (Leonardo e Maldini dopo il derby di ritorno) è impietoso per la nuova compagnia di giro rossonera: 8 punti in meno, un gol in più subito, e 10 gol segnati in meno e stiamo parlando della sezione di torneo a cui non hanno partecipato Piatek e Paquetà arrivati a gennaio 2019.

Pioli, bontà sua, ha colto qualche timido segnale di crescita nei primi 60 minuti contro la Lazio ma forse è stato un errore preparare la sfida con la Lazio parlando di «Champions ancora possibile». In condizioni come quella attuale del Milan, è meglio essere realisti fino alla brutalità: nelle prossime settimane, scollinate le montagne russe di Juventus e Napoli, sarà meglio concentrarsi su un dignitoso piazzamento che inseguire improbabili sogni di gloria. Piuttosto il lamento composto di Pioli a proposito del calendario (un giorno in meno di recupero rispetto alla Lazio e alla Spal che ha giocato ieri sera), è indirettamente un rimprovero nei confronti della società che politicamente ha perso tutto il peso esercitato ai tempi di Berlusconi e Galliani. «Il Milan merita rispetto» ha ripetuto Pioli. Sì ma, a certi livelli, bisogna agire con... marcature preventive.

Sulle cause dell'ennesima sconfitta, maturata nel finale a dimostrazione che ci sono aspetti riferiti all'attenzione e alla lucidità, i pareri sono unanimi. Ha detto Fabio Capello: «C'è bisogno di un vero capitano e non di uno che porta la fascia al braccio, inoltre sono pochi i calciatori da Milan».

È una critica nemmeno molto velata al mercato delle tre recenti gestioni (Fassone-Mirabelli, Leonardo-Maldini e Boban-Maldini) che hanno consumato molte risorse senza ottenere risultati adeguati. Basta una sola riflessione a tal proposito: nella primavera di quest'anno, quando cominciarono le trattative, il Milan aveva puntato su due obiettivi, Sensi e Veretout. Per motivi di quotazione, si è ritirato e ha virato su Krunic e Bennacer. Dei nuovi arrivati, Theo Hernandez e Leao sono stati i più lodati. Bene: il francese a furia di lanciarsi in cavalcate solitarie ha finito spesso con lo sguarnire il fianco dove Lazzari correva come lui e meglio di lui. Il portoghese è stato strigliato a dovere da Pioli e Capello gli ha dato il resto («non può giocare solo con la palla tra i piedi»).

Lo scenario sconfortante pone le premesse per un ritorno sul mercato di gennaio con correzioni di rotta e di profili. Antonio Cassano ha ripetuto un mantra molto caro al popolo dei tifosi.

«L'unico che può risollevare quella squadra è Ibrahimovic: basta offrirgli 18 mesi di contratto», ha ripetuto. Da casa Milan hanno fatto sapere a più riprese che non fu Gazidis a impedire l'arrivo dello svedese ma l'interessato a rifiutare la proposta di Leonardo. Ritentar non nuoce.

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