"Il mio amico Pantani. Vi spiego perché lui vivrà per sempre"

Cipollini ricorda il grande e sfortunato campione«Un giorno facemmo come Coppi e Bartali...»

"Il mio amico Pantani. Vi spiego perché lui vivrà per sempre"

«Avevo vinto una tappa al Giro del Mediterraneo e per festeggiare quel successo, ma soprattutto la ricorrenza di San Valentino, ero a cena con l'allora mia moglie al ristorante Rampoldi di Montecarlo. Ad un tratto vedo entrare un amico italiano che si dirige verso di me scuro in volto e mi invita a seguirlo. Non proferisce parola, si limita a passarmi il suo blackberry e leggo le notifiche che scorrono: «Trovato morto in un residence Marco Pantani». In quel momento, in quel preciso istante, in me è calato il buio».

Quindici anni sono passati da quella terribile sera nella quale Mario Cipollini ha saputo della morte di uno dei suoi più cari amici. «Cosa mi è rimasto di Marco? Tutto, ma solo le cose belle. Nel cuore mi sono rimasti solo frammenti felici di vita quotidiana, di zingarate pazzesche da Amici miei, al limite della follia».

E i due di bischerate ne hanno fatte a iosa. «Tappa del Giro del 2003 (l'ultimo corso dal Pirata, 13°, ndr). In un tratto di strada tra l'Abruzzo e le Marche, io e Marco decidiamo di scambiarci le ruote. Lui vuole assolutamente provare le mie, molto più leggere e scorrevoli, così ad un certo punto, come due ragazzini, ci fermiamo a bordo strada e velocissimamente eseguiamo l'operazione. Nessuno si accorge di niente, ma quel giorno io ho visto negli occhi di Marco la felicità».

Uno scambio che non divide l'Italia, ma rinsalda un'amicizia «Sarebbe potuto essere come il famoso scambio della borraccia tra Bartali e Coppi, solo che di questo gesto, non c'è un'immagine che una. Siamo stati due folli, ma almeno siamo stati bravi a non farci beccare da nessuno. E non sai poi le risate ».

Tante le risate, ma anche qualche rammarico. «Il più grosso? Non essere riuscito a coronare il sogno di correre con lui in squadra. Io avevo da poco conquistato il titolo mondiale a Zolder, ciclisticamente avevo raggiunto lo zenith, e potevo solo ritirarmi. Però mi era venuta l'idea di portare alla Domina Vacanze il Pirata. Ne parlai con lui, che si mostrò subito entusiasta. Diede mandato alla sua manager (Manuela Ronchi, ndr) di seguire la cosa, la quale s'interfacciò con il team manager della Domina Vincenzo Santoni e con Franco Cornacchia della Mercatone Uno che sarebbe dovuta entrare come sponsor nell'operazione, ma nonostante noi due fossimo assolutamente d'accordo su tutto, non se ne fece nulla».

Non chiedetegli però perché non se ne fece nulla: Mario sull'argomento glissa con abilità. «Questo lo dovreste chiedere a loro, in particolare alla Ronchi. Di tutta quella vicenda mi è restata nel cuore solo una telefonata: restammo a parlare per quasi un'ora. Io ero seduto su un finestrone in avenue de Grande Bretagne, a Montecarlo. Io e Marco sognavamo entrambi ad occhi aperti, ma quel sogno rimase tale».

Mario parla di Marco con dolcezza infinita, come si fa con chi ha lasciato un segno profondo del suo passaggio. «Un'immagine di noi? Io e lui in fondo al gruppo che parliamo come due ragazzini di donne, motori e caccia. Ci siamo conosciuti in una riserva, nei pressi di Pavia. Entrambi ospiti di un amico (Alcide Cerato, ndr): ci ritrovammo immediatamente a ridere e scherzare come vecchi amici».

Oggi sono quindici anni senza il Pirata, mentre mamma Tonina insegue con tenacia la verità sulla morte del figlio. «E fa bene. Capisco il suo dolore, e rispetto tutto quello che fa».

Se poi gli si chiede chi fosse Marco Pantani, Mario prende fiato, tira un lungo sospiro e con un filo di voce risponde: «Era l'emozione compressa in uno scatto.

Un brivido infinito. Un soffio al cuore. L'amore per uno sport e un corridore che ha fatto girare la testa a tanti. Pantani è amore e passione. Lo è ancora adesso, perché Marco nei cuori di tutti noi non è mai davvero morto».

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