"Un Mondiale per zittire tutti non sono il cattivo del gruppo"

Il trentino Gianni Moscon, che vive a Innsbruck, correrà sulle strade di casa. Sospeso più volte per spinte e manate, sarà la nostra punta

"Un Mondiale per zittire tutti non sono il cattivo del gruppo"

Non sa nemmeno lui quante volte è stato mandato all'inferno. Adesso Gianni Moscon sul Muro di Hall, lo strappo simbolo del mondiale di Innsbruck che gli austriaci hanno ribattezzato l'inferno, spera di trovare il paradiso. Il trentino si trova ad essere una delle nostre punte, forse la punta designata e riconosciuta da Nibali e compagni. Mandato a casa dal Tour dopo prova televisiva per aver tentato di colpire un avversario con una manata, ha pensato solo ad allenarsi in chiave mondiale. Cinque settimane di stop, di squalifica. Un mese e mezzo di lavoro sulle strade di Innsbruck, dove il talentuoso trentino di Livo ha deciso di andare a vivere, dopo la breve parentesi monegasca. «Montecarlo non era il mio ambiente: troppo glamour, troppa confusione, troppo lontano da casa ci racconta il 24enne talento del Team Sky -. A Innsbruck ho trovato quello che cercavo: strade perfette e poco trafficate per allenarsi. Clima ideale. E poi in un'ora e mezza, se ho voglia, sono a casa dai miei».

Tosto e concreto, Gianni. Carattere forte e, a tratti, anche ingombrante. Per il gruppo è chiaramente un talento, un uomo da non sottovalutare e tenere d'occhio. Ma c'è anche chi l'ha preso di mira e si diverte a punzecchiarlo, per fargli perdere le staffe.

«Una cosa l'ho capita: non devo più cadere nei tranelli delle provocazioni. Devo fare finta di non avere attorno nessuno. C'è solo un modo per metterli a tacere: andare forte, farsi rincorrere, farli impazzire e lasciarli senza fiato. E naturalmente vincere. Per il resto non ho più voglia di parlare sempre delle stesse cose. Vengo considerato un bad boy? Non posso convincere chi nemmeno ha voglia di ascoltare e capire».

Una sorta di Benjamin Malaussene, il personaggio nato dalla penna e dalla fantasia di Daniel Pennac, che di professione faceva il capro espiatorio. «Io non faccio mai la vittima: non fa parte del mio carattere».

È tornato alle competizioni e ha subito vinto: primo all'Agostoni, primo al Toscana, terzo alla Sabatini. «Non avevo altra scelta». L'etichetta del cattivo ragazzo, però, non nasce dal nulla: ad aprile di un anno fa era stato sospeso dalla Sky per sei settimane, dopo aver apostrofato con insulti a sfondo razzista il corridore francese Kévin Réza. Qualche mese dopo, alla Tre Valli Varesine, un altro corridore, Sébastien Reichenbach, l'ha accusato di averlo buttato per terra con premeditazione. Come se non bastasse, al mondiale di Bergen dello scorso anno, dopo essere stato in fuga nel finale con il transalpino Julian Alaphilippe, ha forato e nel tentativo di rientrare, si è attaccato all'ammiraglia della nostra nazionale e per questo è stato squalificato. «Cosa volete che vi dica, tutto giusto, ma la verità è che solo con Réza ho sbagliato. L'accusa dello svizzero è stata invece considerata anche dall'Uci priva di ogni fondamento. E a Bergen, nella foga, ho fatto quello che mi ha detto di fare il Ct Davide Cassani, il quale non per niente si è preso tutta la responsabilità».

Quindi, cattivo sarà soltanto domani, in corsa. «Mi porto addosso un'etichetta che fatico a levarmi. Però so come si fa.

Nello sport come nella vita, c'è solo un modo: devo pensare ad attaccare, e a scattare in faccia ai rivali. Devo essere sì cattivo, ma anche lucido, scaltro e attento. Questo è un mondiale che premierà gente dura». E cattiva.

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