Nato il 1°dicembre: idea per un predestinato. Condivide?
«Dico: bravi genitori a pensarci» (e se la ride). «Avevano preparato tutto loro. Magari qualcosa di predestinato c'è».
Alberto Cova oggi compie 60 anni, è stato un primo sul podio dei 10mila dell'atletica, anzi un primo da triplete: primo agli europei di Atene '82, ai mondiali di Helsinki '83 e alle Olimpiadi di Los Angeles '84. Primo nella gara del fondista per eccellenza, un primo della classe. Un primo con i baffi (in ogni senso), poi tagliati 20 anni fa. Un primo dicembre nato ad Inverigo da papà Pietro, operaio pendolare, e mamma Liliana, sarta che gli ha instillato il seme del vestire sempre bene. Altri tempi. È mingherlino, lo tesserano per la Mariano Comense (poi passerà alla Pro Patria) e comincia a correre.
Alberto, quanti chilometri di corsa? E di vita?
«Direi 8000 all'anno per 11 anni. Almeno 90mila da professionista. Poi gli altri. Lo sport ha valore competitivo, invece la corsa nella vita non si misura in chilometri: ti pone traguardi, disegna il fare. Oggi lavoro nella formazione aziendale: vita come metafora dello sport dove ho imparato quello che mi è servito tutti i giorni».
Anche nella politica?
«Ho fatto di corsa pure quella. Durata così poco che nemmeno mi sono accorto. Forse con qualche anno in più, e un paio di riflessioni giuste, ci sarei rimasto più a lungo».
Ha mai dimenticato le emozioni del suo triplete?
«Impossibile. Un periodo bellissimo, ogni giorno posso tornarci con la mente, come si fa con internet: schiaccio un bottone e mi rivedo. Sarebbe bastato vincere anche una sola di quelle gare, mettiamo la prima, l'europeo di Atene, e avrei vissuto felice tutta la vita. Invece ne ho vinte tre».
Faccia un podio delle vittorie
«L'Olimpiade è l'Olimpiade, storia dello sport, una cosa unica: il più grande dei risultati. Ma Helsinki è stata la gara tecnica capolavoro: mai fatto un'altra così. Sembrava tutto perso poi il recupero, li prendo uno alla volta, capisco di poter andare a medaglia, e arriva il massimo. Invece ad Atene vivo l'emozione dell'uscita sul primo podio».
Lo stadio della vera ebbrezza?
«Tutti e tre hanno un legame: successo ad Atene nella città e nello stadio delle Olimpiadi. Helsinki primo mondiale dell'atletica e si compete nel Paavo Nurmi, un grande del mezzofondo. Los Angeles, vinco l'oro dei Giochi come Luigi Beccali (1500 m, ndr) 52 anni prima: entrambi atleti della Pro Patria. Questa è storia personale, ma anche dello sport».
Un sogno nel cassetto?
«Volevo correre la maratona. Avevo il fisico, gli infortuni mi hanno fermato nell'85. È rimasto un sogno».
Poi, 82 chili fa?
«Ho corso la maratona. Avevo smesso, non ho toccato scarpette per 7 anni. Sono arrivato a 82 kg, il mio apice a 40 anni. Alcuni amici mi dicono: conciato così dove vai? Ho scommesso: correrò la maratona in meno di 3 ore. Mi dicono: quale? Rispondo: quella di New York, la più difficile. Sennò non è scommessa. Mi sono allenato, ce l'ho fatta in 2 ore 59'56''. Scommessa vinta per 4 secondi. Da allora ne ho corse una decina».
La chiamavano ragioniere non solo per il diploma
«Mi è servito molto ragionare. Giorgio Rondelli era maniacale in tutto: nello studio della tattica e degli avversari. E nelle mie tre volate vincenti c'è sempre stato il suo zampino».
Uomini solitari in pista, ma il tecnico conta?
«È fondamentale il rispetto di quello che dice. Ho visto atleti discutere e incrinare rapporti. Con Giorgio discutevamo, ma alla fine lui comandava ed io eseguivo. Questo il rapporto esatto. Oggi c'è stata una evoluzione della specie».
L'avversario più difficile?
«Werner Schildhauer, rivale di sempre: Rondelli lo studiava ed io mettevo in atto le tattiche. Ma anche Vainio. E perché non gli italiani? Con Panetta mi sono allenato 8 anni: un grande. Totò Antibo il più forte mezzofondista mai avuto dall'Italia e Stefano Mei che mi ha battuto agli europei. Con Bordin sono state battaglie nelle campestri e in una indimenticabile mezza maratona di Milano».
Sembra l'epoca delle palafitte
«Invece sono passati solo 35 anni. In altri tempi la nostra atletica mi ha messo tristezza: non si lavorava molto sulla base. Ora vedo un gruppetto sparuto: Tamberi, Tortu, la Palmisano, Crippa che corre il mezzofondo e mi da speranza: è intelligente, arriva preparato e sempre in forma».
Senta Cova, arrivato a 60 anni si corre ancora? O si comincia a pensare: ho corso bene, ho corso male?
«Io continuo a correre,
finché la testa va. Mi sento al sesto chilometro di una 10 km, manca ancora un 40 per cento di corsa: voglio arrivare a 100 anni. Porsi un traguardo è facile, poi bisogna lavorare. E tagliati i 100 sei nelle mani del Signore».
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