La normalità di un ribelle che sapeva fare i miracoli

Morto Mondonico: calciatore "beat", allenatore raffinato e schivo. Portò Toro e Atalanta a risultati impensabili

La normalità di un ribelle che sapeva fare i miracoli

Fine di una storia. La storia di Emiliano contro quel male che non è affatto oscuro. E ti prende, ti avvolge, ti asciuga, ti porta via lentamente il senso della vita bella ma non gli affetti, quelli no, sanno resistere a qualunque colpo vigliacco. Emiliano Mondonico lascia nostalgie e dolcissimi ricordi, memorie di un football e di un tempo che non sono soltanto passati e trascorsi ma sono fette di un mondo, il suo Mondo, che non ha più ragion d'essere. Mondonico è stato tante cose assieme, come è nell'istinto dell'uomo normale ma non ordinario: bizzarro, indisciplinato, rigoroso, anarchico, saggio, libero, indipendente, capo e servitore, amico silenzioso e compagno fidato. E' stato un allenatore come rarissimi per la sapienza nella lettura del gioco, senza mai spacciare questa sua scienza, tenendola, invece, sotto traccia con quella voce un po' da confessore in chiesa, una nenia che era poi un modo quieto di raccontare il suo pensiero.

Ha vissuto ai margini tenendo il posto centrale, ha fatto miracoli con il Torino e con l'Atalanta, arrivando a finali europee e coppe nazionali là dove altri mai hanno immaginato soltanto di sfiorare. E' stato dimenticato da un football vorace e volgare, il maligno che sette anni fa lo aveva acchiappato non lo aveva però trasformato nell'essere, uguale a prima, consapevole infine che la vita è sofferenza e sacrificio, anche per chi, come lui, l'aveva sentita come un luna park, la giostra sulla quale salire e divertirsi, con il dribbling, la fuga dai ritiri o dall'allenamento per andare a vedere e sentire gli Stones e i Beatles, l'altro mondo rispetto a Rivolta d'Adda, al fiume, alle bisce d'acqua, alla trattoria gestita dal padre dove Emiliano appariva, sorprendendo i clienti, portando il vassoio dei salumi o una bottiglia di quello buono.

L'Adda era il suo parco giochi, poi il calcio, poi la famiglia, poi la vita spensierata ma non nel senso cattivo e superficiale, ma priva della pesantezza e dell'aria grigia respirata dagli inquilini del pallone. Quando alzò al cielo la sedia, nella finale di Amsterdam del suo Toro contro l'Ajax, quell'immagine di ribelle diventò il simbolo. Era il giovane Emiliano che cercava di reagire al sopruso, all'arbitro ingiusto. I tifosi granata si presentarono con le sedie al cielo nel teatro del Filadelfia, il vecchio cuore tornava a battere, Mondo era il sangue vivo. Torino, Bergamo, Como, Cremona, Firenze, Cosenza, Napoli, Novara, tante, mai troppe stazioni del suo viaggio, insegnando calcio anche con uno stile a volte perfido: alcuni dei suoi, dell'Atalanta e del Toro, mi hanno raccontato che Emiliano fingeva di filmarli con una ipotetica cinepresa, dopo un dribbling sbagliato, uno stop precario, una papera in porta e quel gesto irridente valeva più di uno strillo nello spogliatoio. Un suo compagno della Cremonese disse di non avere mai visto uno correre come Emiliano, andava a battere le punizioni, i calci d'angolo e le rimesse laterali, non altro, in breve era un fagnano, un pigrissimo di talento.

Ma questo è la conferma che Mondonico sia stato un uomo di assoluta normalità, mai preso dal ruolo spettacolare ed egoistico del calciatore o dell'allenatore, semmai cosciente di avere vissuto bene, amando il pallone e, insieme, tutto quello che la vita quotidiana concede, non lussi ed esibizioni ma il senso profondo della famiglia, il piacere di andare a pesca, di tagliare una fetta di salame, di spruzzare il succo di un limone su una cotoletta e, poi, di immergere una fetta dello stesso limone nel bicchiere schiumante di birra o di ascoltare un pezzo degli Stones e dei Beatles. Scoprimmo di aver presenziato assieme, a nostra insaputa, al concerto di quattro di Liverpool, nel Vigorelli di Milano, io ero venuto in treno da Torino, lui aveva tagliato un allenamento per correre alle quattro mezzo di quel pomeriggio di giugno del Sessantacinque. Erano i favolosi anni di un ragazzo con testa bizzarra, il piede raffinato e la voglia di vivere, tutta. Poi quella stessa vita, di colpo, gli voltò le spalle e incominciarono le sofferenze.

Mai udii un lamento, mai una patetica manifestazione di dolore mentre, lentamente, i suoi occhi diventano più piccoli e più lucidi. Oggi la partita è finita.

Alza la sedia, Mondo. Alzala per me e per chi ti ha voluto bene.

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica