Da nuovo Kakà a Papero zoppo

Pato al Corinthians con il rammarico di un'occasione perduta I quattro anni al Milan di un fuoriclasse con il fisico di cristallo

Da nuovo Kakà a Papero zoppo

Sembrava un altro Kakà. Destinato come Riccardino a sbaragliare presto il campo dei pregiudizi e a conquistare gol e trofei, oltre che l'amore, folle, dei milanisti. Sembrava un predestinato Alexandre Pato detto il Papero perché si presentò a Milanello ancora minorenne scoperto nell'Internacional di Porto Alegre reduce dal mondiale per club e segnalato al radar di Galliani e Braida. E invece proprio il destino gli ha voltato le spalle. Il primo a parlare di Pato sui media italiani fu Roberto Mancini, tecnico dell'Inter ignorato dai suoi: è l'ultimo ad arrendersi all'addio di queste ore considerandolo un mistero inglorioso. Il primo club a cogliere la lucentezza del talento fu il Milan pagandolo come un top player (22 milioni di euro). Il debutto fu sbalorditivo. Si presentò, in compagnia di Ronaldo il fenomeno, contro il Napoli e fu subito goleada firmando un sigillo d'autore, il quinto gol: scatto alla Bolt e stop al volo su lancio chilometrico trasformato in un sombrero per il portiere Iezzo. Quindici giorni dopo si ripetè con una doppietta contro il Genoa. «Ecco il nuovo Shevchenko» titolarono i giornali.

È un ragazzo, d'accordo, la famiglia presto lo lascia in compagnia di un cugino nella fredda Milano, forse è il primo errore, lui si innamora di una giovanissima attrice conosciuta in una chat, forse è il secondo, mentre Ancelotti comincia a fargli un po' di scuola. «Pato sfrutta solo il 50% del suo enorme potenziale» continua a ripetere Carletto. La sua media gol tappa la bocca a chiunque: un gol ogni due presenze, mica noccioline.
Il successivo sodalizio con Ronaldinho e Leonardo segna la seconda fase della carriera di Pato che va incontro al calvario datato gennaio 2010: qui cominciano le sue disavventure, incidenti muscolari uno dopo l'altro che lo inchiodano all'infermeria e intaccano anche la reputazione di meidici e fisioterapisti. Due anni di accidenti intervallati da rare imprese balistiche (il gol lampo a Barcellona) e da qualche sfondone (il rigore fallito contro la Fiorentina, 11 novembre, segna il divorzio dal suo amato pubblico). Viene consultato anche uno specialista americano che giura di aver scoperto la causa dei ripetuti crac muscolari: la postura, corretta senza esito alcuno. Anzi scandita da una clamorosa ricaduta a Barcellona: entra dalla panchina e si fa male al primo scatto provocando uno choc. A quel punto persino uno come Meesserman si arrende.

«Non so più a che santo votarmi» dichiara e la frase lascia il segno nel club dove nel frattempo lui risulta imparentato con la famiglia del presidente (termine utilizzato per la prima volta da Pier Silvio Berlusconi e riferito al fidanzamento con Barbara). Nel giro di due anni pieni Pato si ferma, guarisce, ritorna e si riferma fino a collezionare 16 infortuni e 83 gare saltate. Il rimpianto, adesso collettivo, è noto: nel gennaio del 2012 Galliani sottoscrive un accordo per la cessione a 38 milioni col Psg e vola a Londra per rimpiazzarlo con Tevez. Una vera genialata. Viene stoppato un minuto prima di siglare la trattativa. La dichiarazione è di Pato («voglio restare al Milan»), la volontà del presidente Silvio Berlusconi dietro il quale, particolare sempre smentito dalle fonti ufficiali, si coglie la sagoma di Barbara. Solo con la Seleçao Pato funziona (8 presenze 4 gol, uno alle Olimpiadi).

«A Milanello lo hanno curato male» sostengono ora i medici brasiliani. Forse. Di sicuro questo che parte per il Brasile è un Pato opaco e ammaccato, diverso dal fuoriclasse del gol destinato a diventare un altro Kakà e a vincere il Pallone d'oro.

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