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Papà in panca, dura la vita. Sacchetti "taglia" il figlio

Meo manda a casa Brian: "Chi la sente mia moglie...". Sulle polemiche: "Tenuto fin qui per gli infortuni"

Il ct azzurro Romeo Sacchetti
Il ct azzurro Romeo Sacchetti

Le malelingue possono tornare nel loro cantuccio. Meo Sacchetti - di professione ct della nazionale italiana di basket, oltre che allenatore di Cremona - ha deciso ieri di escludere suo figlio Brian e Giampaolo Ricci dalla lista dei dodici che da domani saranno impegnati in Cina in occasione dei Mondiali della palla a spicchi. «Sono scelte chiare - ha spiegato il coach -. Loro due ci hanno dato una grossa mano quando Gallinari e Datome erano fuori per infortunio: ora che si sono ripresi, le mie decisioni sono diventate quasi obbligate. Sicuramente sono le più giuste per la nostra squadra».

Così, al termine di settimane in cui Sacchetti Jr è stato definito «raccomandato» dai soliti sapientoni, la scelta di papà è stata quella di mantenere nel gruppo Filloy, ovvero un playmaker in più rispetto al contributo che suo figlio avrebbe potuto garantire vicino a canestro. La realtà è che soltanto chi non ha mai conosciuto i Sacchetti poteva pensare che alla base della convocazione ci fosse un legame di parentela. «Con mio figlio sono sempre stato più duro che non con gli altri giocatori - ha confermato più volte Meo -. Non gli ho mai regalato nulla e, anzi, a volte gli ho riconosciuto meno meriti di quanti sarebbe stato giusto fargli». Peraltro i due hanno lavorato insieme per anni anche a Sassari («ma non avevo chiesto io di tesserarlo», avrebbe poi spiegato il babbo), dove hanno anche vinto uno storico scudetto.

E quando Meo ha esordito sulla panchina azzurra, a Torino nell'ottobre 2017 contro la Romania, proprio Brian fu tra gli ultimi esclusi. «Il nostro è sempre stato un rapporto molto chiaro e diretto le parole del 33enne giocatore oggi a Brescia -. Nessuno ne ha mai approfittato». «Dall'altra è logico che... avrò dei problemi con mia moglie», ha infine scherzato il ct.

Non è comunque sempre semplice, il rapporto tra genitori e figlio. Per rimanere al basket, un diverbio tra Dino e Andrea Meneghin avvenne nel 1996, quando il padre (team manager) rimproverò il figlio (giocatore, infortunato e colpevole di stare leggendo il giornale a bordo campo) prima di un'amichevole tra Italia e North Carolina. In casa Boston Celtics, invece, coach Doc Rivers ha avuto per quattro anni alle sue dipendenze il figlio Austin prima di spedirlo a Washington: «La cosa migliore per tutti». Passando invece al calcio, a fine giugno Zinedine Zidane ha tagliato Luca, il figlio portiere, mandandolo in prestito al Racing Santander. E nel 2017, per gradire, anche l'altro figlio Enzo aveva lasciato i Blancos con il papà alla guida. C'è poi chi non ci pensa nemmeno all'idea di avere il sangue del suo sangue tra i piedi, ovvero El Cholo Simeone che disse a chiare lettere che non avrebbe mai voluto «allenare Giovanni: è molto difficile avere un figlio nello spogliatoio». Ci aveva invece provato, al Barcellona, Johan Cruijff con Jordi: rapporti complicati, prima del trasloco allo United.

Zero problemi invece tra Cesare e Paolo Maldini: del resto sull'immensità di quest'ultimo nessuno ha mai osato mettere becco.

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