Che derby: né giocato, né vinto. Scolpito dal piattone di Menez e dalla rasoiata di Obi, prima di far tremare le due traverse con El Shaarawy e Icardi. Così Milano si divide le spoglie di una sfida senza grandi sapori e riconsegna il suo destino futuro alla mediocrità. Per la rincorsa al terzo posto bisogna naturalmente ripassare. Nel frattempo lo gioca un po' meglio l'Inter di Mancini, appena arrivato ad Appiano Gentile, mentre il Milan di Pippo si trascina dietro i soliti, irrisolti problemi. L'elenco è qui che parla: Torres che si vede e non si sente, El Shaarawy che non trova il gol sfiorato, il gioco che non decolla e non promette, solo il contropiede manovrato, a tre tocchi, riesce e riesce bene sul gol dell'1 a 0. L'Inter non se ne sta più rinchiusa nel suo guscio come ai tempi di Mazzarri, ha un nuovo entusiasmo, un nuovo sistema di gioco, energie giunte dal cambio della guardia e per tutta la ripresa prova a mettere sotto il rivale, con i limiti che tutti gli riconoscono, la mira di Icardi non è delle migliori, il contributo di Palacio ridotto all'essenziale. Patendo appena un paio di assalti finali del Milan (con Poli e Bonaventura) che non lasciano il segno.
I misteri di Pippo (sullo schieramento) e le sue tensioni servono a poco, così come il suo parlare fitto fitto con Torres durante il riscaldamento. I sorrisi e le sicurezze di Roberto servono a togliere dall'animo dei suoi quella depressione cupa che trasforma in ghiaccio ogni goccia di sudore. Uno, il Mancio, salutato col boato della sua curva, sorride e non si agita nemmeno quando Icardi, in apertura di derby, lanciato da quella sciagura di Muntari, si presenta al cospetto di Diego Lopez sbavando il più facile dei gol e il più comodo degli snodi. L'altro, il Pippo beniamino della sua curva, è tarantolato già prima di cominciare, non ha bisogno di sciarpa né di cappotto, si rivolge sgomento al fido Tassotti quando vede Torres incapace di superare Juan Jesus nell'uno contro uno lanciato da un velenoso contropiede dei suoi, la sua arma preferita. Il lavoro, in poche ore, svolto da Mancini si vede dall'impronta tattica data: adesso l'Inter ha geometrie scolastiche, posizioni ben definite, qualche astuzia applicata alle posizioni di Kovacic e Palacio, defilato sul lato di De Sciglio, considerato l'anello debole del fortino rossonero. Certo non può, con un colpo di bacchetta, eliminare tutti i difetti che sono vistosi: l'acerbo Icardi che divora la palletta del possibile vantaggio, la disattenzione di Nagatomo che spalanca la corsia a El Shaarawy nel triangolo dettato da Essien per consentire a Menez di mettere la firma a metà tempo. Un tiro nello specchio in 45 minuti, un gol: percentuale da basket Nba.
Se è per questo nemmeno Pippo, che pure martella da luglio sulla testa della squadra, riesce a migliorare la cifra tecnica dei suoi che, prima e dopo il blitz di Menez, sbagliano uno, dieci, tanti, troppi passaggi, come i dirimpettai offrendo così pochissimi spunti di calcio attraente, degno di San Siro, della sua storia. Non sorride più il Mancio, nella ripresa, quando la sua Inter apparecchia una replica orgogliosa sfiorando con Icardi il bersaglio centrato in pieno, all'ora in punto, dal sinistro chirurgico di Obi, palla dal limite finita nella buca dell'incolpevole Diego Lopez. Ecco la smorfia di Pippo, adesso sì che la fa e la possono vedere tutti.
Perché, sullo slancio del pari agguantato, l'Inter del Mancio prova a vincere il derby, dentro Hernanes, ringraziando Obi per l'opera compiuta, mentre Pippo richiama Torres (dentro Honda) giusto qualche minuto prima che El Shaarawy, da centravanti, lanciato in corsa, scheggi la traversa di Handanovic a occhi chiusi, pareggiata più tardi da quella di Icardi, in giravolta plastica. È il sigillo conclusivo a un derby che condanna Milan e Inter a restare nel mucchio, nelle retrovie a inseguire sogni e ambizioni che non paiono alla loro portata.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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