"Presa Parigi voglio pedalare fino a Roma"

Nibali: "Il trionfo al Tour vale un'Olimpiade ma adesso inseguo anche Rio 2016 E se i Giochi arrivassero in Italia..."

"Presa Parigi voglio pedalare fino a Roma"

Alla fine ha finito di festeggiare: «Ma non per sempre…», dice lui, Vincenzo Nibali, sornione come pochi. Era da luglio che era tutto uno stringere mani, un brindare e un concedersi a chiunque con assoluta generosità e disponibilità anche solo per un "selfie". L'altra notte, allo scoccare della mezzanotte, il brindisi più intimo e sentito. Con la piccola Emma che già dormiva, con la sua Rachele, con mamma e papà, con i suoi due fratelli nella sua Sicilia, quella terra che l'ha visto ragazzino, prima di salpare e andare a cercare le fortune ciclistiche in continente, in Toscana, a Mastromarco in provincia di Pistoia, la sua seconda casa.

Un brindisi per quello che è stato «ed è stato davvero molto bello», ci dice il trionfatore del Tour, quattro tappe e 19 giorni in maglia gialla su 21. E per quello che sarà «e dipenderà tantissimo da me…», dice senza fare tanti proclami.

Allora Vincenzo, come è iniziato questo nuovo anno?

«In bicicletta, come si conviene in ogni festa. Ci si concede qualche piccolo vizio, che per quanto mi riguarda può significare un piatto di pasta 'ncaciata di cui vado matto, un buon bicchiere di passito di Pantelleria e un dolcetto dei nostri. Poi, al mattino, tutti in sella, per rimettere le cose a posto. Per ricordarsi che un anno è passato ma ce n'è pronto un altro tutto da scrivere».

Il 2014 è stato semplicemente perfetto…

«All'inizio molto sofferto. Io e Rachele avevamo in testa solo Emma, che doveva venire al mondo. Io non riuscivo a rendere come volevo».

Come sono andate queste festività?

«Bene, molto bene. Prima a Fiuggi, a casa dei genitori di Rachele. Lì abbiamo anche battezzato Emma. Poi siamo scesi giù in Sicilia. Lì ho ritrovato i miei parenti, i miei amici, con i quali pedalerò il 6 gennaio per raccogliere fondi contro la sindrome di Duchenne e Becker: è una pedalata benefica alla quale io tengo tantissimo da anni».

Sapevi di poter un giorno diventare un grande campione, forse già oggi uno dei più grandi di tutti i tempi?

«Sognavo di poter diventare un grande corridore, ma non pensavo di poterci riuscire. Ho vinto Vuelta, Giro e Tour: sono in pochi a poter vantare la "tripla corona" siamo solo sei nella storia del ciclismo, e assieme a Anquetil, Merckx, Hinault, Gimondi e Contador, ci sono anch'io. Ora però so che inizierà la parte più difficile: ripetersi. Cercare di vincere anche qualche bella classica».

Quale per esempio?

«Su tutte dico la Liegi-Bastogne-Liegi: con la decana delle classiche, forse la più dura, ho un conto aperto».

Tra le vittorie del 2014 tu ami ricordare sempre anche quella di Fondo che ti è valsa il titolo di campione d'Italia…

«Andavo piano, non avevo ancora vinto, cercavo conferme. I kazaki che mi stipendiano, nemmeno volevano che partecipassi al campionato italiano perché a loro interessava poco. Alla fine ho vinto e oggi posso dire che lì ho iniziato a vincere anche il mio Tour de France».

Giro Tour e Vuelta: quale la corsa che porti più nel cuore?

«Le vittorie sono tutte belle, soprattutto quelle in una corsa a tappe, perché sono difficili da vincere. La Vuelta è stata inaspettata. Il Giro la conferma che i miei piazzamenti, e i miei podi e la vittoria in Spagna non erano frutto del caso. Il Tour è tutto e di più. La consacrazione a ciclista di livello mondiale, ma anche a sportivo globale e di riferimento. È come se avessi vinto un oro olimpico: il Tour ti porta fuori dal perimetro del tuo sport e ti proietta in un'altra dimensione».

Molti si sarebbero montati la testa, tu sei rimasto quello di sempre…

«Non ho mai amato i corridori che se la tirano troppo. Quelli grandi per davvero non hanno bisogno di atteggiarsi».

Ma è vero che fai un pensierino anche alle Olimpiadi di Roma nel 2024?…

«Io faccio un pensierino a quelle di Rio e se mi andassero bene e diventassi una gloria nazionale e se Roma riuscisse ad aggiudicarsi i Giochi, beh, allora a 40 anni - tanti ne avrei - potrei pur sempre fare il portabandiera».

Vincenzo, come si fa a vincere quando si ha già vinto tanto?

«Bisogna pensare che quello che hai te lo possono portare via e io non voglio».

L'Astana per settimane è stata nell'occhio del ciclone per diversi casi di positività: due nella squadra maggiore (i fratelli Ighlinskij e tre nella Primavera, ndr): in forse la licenza World Tour, quella che consente di partecipare di diritto a tutte le corse più importanti del pianeta senza ricorrere alle wild-card…

«È stata una brutta esperienza, ma alla fine ha prevalso il buonsenso. Io sono sempre stato tranquillo, il mio staff un po' meno. In quanto al doping sapete come la penso: tolleranza zero. Chi sbaglia va a casa».

Cosa butti del 2014 e cosa chiedi al 2015?

«Del 2014 non butto niente: come si fa? Al 2015 chiedo salute pace e serenità. Per quanto mi riguarda spero di vincere e di regalare emozioni. Vedere la gente felice è la cosa più bella che ci possa essere».

Quindi felicità!

«Felicità!».

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