«Questa volta ci siamo»

nostro inviato a Maranello
Si siedono prima l'uno e poi l'altro. Tavolo lungo. Di fronte non hanno un plotone d'esecuzione ma qualcosa che ci assomiglia. Il mondo di rosso vestito gli corre veloce sulle spalle e pesa tremendamente, fa loro un solletico urticante, forse graffiante. Perché loro devono vincere. Loro devono finalmente vincere il titolo. Uno è il gran capo della Rossa in pista, Stefano Domenicali, l'altro è il papà della suddetta, l'uomo che l'ha disegnata, l'ingegnere greco Nick Tombazis. Questione di gerarchie. Tocca parlare prima al numero uno della Gestione sportiva, che ha una gran voglia di vedere finalmente concluso il personale processo di espiazione per aver osato meritarsi il ruolo di successore di monsieur Jean Todt al comando della Rossa. «Abbiamo tutti il desiderio di tirare su la testa» dice, «vogliamo far vedere che non siamo quei cocomeri che la gente crede» aggiunge, lasciando intendere l'ottimismo figlio della consapevolezza di aver fatto un buon lavoro, ma un ottimismo pur sempre schiavo del grande interrogativo: quali saranno stati i progressi degli altri? «È la nostra voglia di tirare su la testa» prosegue Domenicali, «che mi dà la carica per dare l'esempio, per dimostrare che la cultura della sconfitta, a cui in Italia si è poco abituati in generale, fa invece parte del percorso di crescita umana. Quando mi venne dato questo incarico, dopo Todt, sarei stato uno stolto se dopo così tanti successi non avessi pensato che avremmo potuto affrontare periodi difficili. La storia insegna che ci sono i cicli e adesso sono convinto di avere io, noi, messo su una squadra per un ciclo vincente. Dai momenti difficili si esce sempre più forti». Certo, poi ci sono i rigori tirati fuori, come nel 2010, come l'anno scorso, e Domenicali ne fa cenno. Però la sensazione grande e forte emanata dell'uomo davanti al plotone d'esecuzione è che stavolta sì, stavolta il ciclo buono potrebbe davvero essere iniziato.
Il capo ferrarista parla poi dell'incognita gomme e parla dei rivali, i soliti, a cui aggiunge «la Mercedes», ed esalta Massa, «grande uomo squadra, grande pilota e con lui valuteremo più avanti il futuro» perché come l'anno scorso dipenderà dai risultati. E soprattutto parla di Melbourne, fra due domeniche, «quest'inverno abbiamo fatto un bel cambio di marcia a livello di prestazioni, i dati dei test a Barcellona ci hanno confermato di aver preso la strada giusta, per cui in Australia il podio può essere davvero una base di partenza». Frase che nell'attento dire maranelliano va letta come ottimismo serpeggiante sulle doti di questa F138. Tanto più che alla voce qualifiche, vero tallone d'Achille Ferrari nel 2012, quando costringeva Alonso agli straordinari in gara, «non devo vendere tappeti» conclude Domenicali. «Non voglio promettere, ma è chiaro che il nostro obiettivo era migliorare la prestazione assoluta, nostro punto debole, e ci siamo riusciti… Complice anche il drs, le ali mobili, che non si possono più usare liberamente in qualifica. Per cui sì, credo che quest'anno saremo in un'altra posizione».
Dunque, una Ferrari che si annuncia buona in qualifica e in gara e forse per questo, dopo Domenicali, si siede davanti al plotone d'esecuzione mediatico un Nick Tombazis col viso a metà fra il sereno e il pacioso. E allora pensi: è un ingegnere greco che guida il progetto di un'auto italiana affidata in pista a uno spagnolo contro un campione del mondo tedesco e il tutto fa tanto PIGS ma fa anche tanta voglia di rivalsa e rivincita…. Purtroppo non lo dice. Però, dai, deve averlo per forza pensato il Nick che dice ben altro. Dice «comunque disegnavo auto qui in Ferrari anche quando c'era Schumi e non mi dispiaceva per niente che fosse un tedesco a dominare»; dice «come per i piloti anche noi tecnici amiamo essere considerati bene». Quindi, finalmente, schietto rivela: «È chiaro che siamo messi molto meglio rispetto a un anno esatto fa, sarebbe stato difficile non esserlo…» e abbozza un sorriso doloroso pensando al passato. «E siamo meglio anche rispetto a come avevamo concluso il mondiale. Lo sviluppo è stato spinto, abbiamo migliorato e lavorato tanto su ali anteriori e posteriori, sugli scarichi, sul fondo e siamo tutti soddisfatti dei risultati ricevuti dai test. Tutto corrisponde. Per cui a Melbourne non mi aspetto sorprese o di vivere incubi».

Anche perché l'obiettivo è un sogno. Quel sogno lì. Il sogno cullato da quando aveva 10 anni e un giorno decise, sì, «da grande disegnerò macchine di F1… avevo visto una Rossa in tv».
POLEMICAMENTE

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