RIO DE JANEIRO - Ha quella faccia un po' così Elia Viviani, tipica di quelli che vanno in bicicletta. Aperta, solare, quella di un ragazzo d'oro. Dall'altra sera d'oro in tutti i sensi. Elia è il volto di un ciclismo che sta tornando alle origini, riportando alla bellezza della pista anche i ragazzi da strada, perché non è peccato fare l'uno e l'altro quando si ha talento e passione. Anzi, è follia aver pensato il contrario e sarebbe l'ora di ripensarci. Ed Elia è anche l'immagine della perseveranza di quelli che non mollano, di quelli che si rialzano davanti alle occasioni perdute: la faccia delle Cagnotto della vita, degli Innocenti che sono in noi, degli atleti arrivati a Rio per l'ultima grande speranza dopo averla perduta ogni volta che il destino era stato beffardo.
Elia Viviani, l'ottava medaglia d'oro della spedizione azzurra, insomma è come l'uomo che tira ai piattelli che ha dovuto aspettare la quarta volta ai Giochi per riuscire a salire sul podio d'argento. È come la nostra regina del trampolino, che a Londra finì quarta in lacrime e che qui è tornata a casa con due medaglie per tuffarsi definitivamente nella vita normale. Elia è l'immagine di quelli che sanno che arriva sempre il giorno per rialzarsi, con quella faccia un po' così appunto, di quelli che hanno la bici per amico. Laltra sera ha pianto, e probabilmente ha stabilito il record olimpico anche in quello: il successo nell'Omnium, la gara in sei prove che mette tutto in gioco nell'ultima, era l'unico obbiettivo di Rio. Ma d'altronde non poteva che essere così per un campione come lui, dopo il crollo di Londra - quattro anni fa - quando era esattamente nella stessa situazione: primo dopo 5 prove, favorito per l'ultima. Invece lì finì sesto, marcato, stremato, sconfitto. Quattro anni dopo Elia ha preso quella delusione di petto e non ha ceduto neanche un secondo: ogni dieci giri una volata, e lui c'era sempre. Perfino una caduta che poteva spezzare ancora una volta il suo sogno, ma questa volta niente poteva fermarlo. E alla fine il trionfo.
La gara a punti, quella finale dell'Omnium, è così: 160 giri con un unico respiro. Questa volta il traguardo ha sorriso, il pianto è stato irrefrenabile: "Questo oro è per l'Italia ha detto poi : non ho mai sentito così tanto tifo come in questa occasione. E questo oro è per me: sono quattro anni che penso a questa gara, alla rivincita, ai miei sacrifici, a quanto ho sofferto. Dentro il mio urlo, alla fine, c'era tutto questo". C'era Elia, il ragazzo di talento che da sempre ha deciso che strada e pista per lui pari erano. Tennista mancato e gran tifoso di Djokovic, uno per cui la stagione dura tutto l'anno, praticamente un Panda a due ruote. E dietro di lui, adesso, con il suo esempio, si stanno ripopolando le piste, da quando a Montichiari hanno aperto un impianto coperto degno della tradizione. Una pista per il ciclismo dei Viviani ed ora, per esempio, per quello di Ganna, il ragazzo che presto diventerà d'oro anche lui. "E pensare racconta Elia - che sono stato perfino contestato da chi, all'interno del World Tour, vede la mia attività indoor come qualcosa di anormale. Ma questa è passione. Questo è ciclismo".
Vero, questo è il modo per vincere, nello sport e nella vita. Provarci sempre, rialzarsi, non cedere mai. Avere sempre un'ultima occasione. E saperla sfruttare. Elia su strada finora ha vinto una trentina di gare, una tappa al Giro, una classifica a punti: è in pista che ha detto il meglio di sè, con 5 titoli europei più due argenti e un bronzo ai Mondiali. Eppure il Team Sky non lo molla, perché sa cosa c'è dietro quell'espressione un po' così, cosa c'è dentro quel ragazzo.
"Questa medaglia d'oro riscatta tutte le delusioni sul parquet: finalmente chiudo un capitolo, parto per altri obbiettivi". Dicono ad esempio la Milano-Sanremo, altro sogno possibile per un ragazzo di 27 anni. E qualcuno dice, pure, che non sia una gara per lui. Ma forse non ha guardato bene quella faccia.
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